Ricorditi, lettor, se mai ne l'alpe
ti colse nebbia per la qual vedessi
non altrimenti che per pelle talpe,
come, quando i vapori umidi e spessi
a diradar cominciansi, la spera
del sol debilemente entra per essi;
e fia la tua imagine leggera
in giugnere a veder com' io rividi
lo sole in pria, che già nel corcar era.
Sì, pareggiando i miei co' passi fidi
del mio maestro, usci' fuor di tal nube
ai raggi morti già ne' bassi lidi.
O imaginativa che ne rube
talvolta sì di fuor, ch'om non s'accorge
perché dintorno suonin mille tube,
chi move te, se 'l senso non ti porge?
Moveti lume che nel ciel s'informa,
per sé o per voler che giù lo scorge.
De l'empiezza di lei che mutò forma
ne l'uccel ch'a cantar più si diletta,
ne l'imagine mia apparve l'orma;
e qui fu la mia mente sì ristretta
dentro da sé, che di fuor non venìa
cosa che fosse allor da lei ricetta.
Poi piovve dentro a l'alta fantasia
un crucifisso, dispettoso e fero
ne la sua vista, e cotal si moria;
intorno ad esso era il grande Assüero,
Estèr sua sposa e 'l giusto Mardoceo,
che fu al dire e al far così intero.
E come questa imagine rompeo
sé per sé stessa, a guisa d'una bulla
cui manca l'acqua sotto qual si feo,
surse in mia visïone una fanciulla
piangendo forte, e dicea: «O regina,
perché per ira hai voluto esser nulla?
Ancisa t'hai per non perder Lavina;
or m'hai perduta! Io son essa che lutto,
madre, a la tua pria ch'a l'altrui ruina».
Come si frange il sonno ove di butto
nova luce percuote il viso chiuso,
che fratto guizza pria che muoia tutto;
così l'imaginar mio cadde giuso
tosto che lume il volto mi percosse,
maggior assai che quel ch'è in nostro uso.
I' mi volgea per veder ov' io fosse,
quando una voce disse «Qui si monta»,
che da ogne altro intento mi rimosse;
e fece la mia voglia tanto pronta
di riguardar chi era che parlava,
che mai non posa, se non si raffronta.
Ma come al sol che nostra vista grava
e per soverchio sua figura vela,
così la mia virtù quivi mancava.
«Questo è divino spirito, che ne la
via da ir sù ne drizza sanza prego,
e col suo lume sé medesmo cela.
Sì fa con noi, come l'uom si fa sego;
ché quale aspetta prego e l'uopo vede,
malignamente già si mette al nego.
Or accordiamo a tanto invito il piede;
procacciam di salir pria che s'abbui,
ché poi non si poria, se 'l dì non riede».
Così disse il mio duca, e io con lui
volgemmo i nostri passi ad una scala;
e tosto ch'io al primo grado fui,
senti'mi presso quasi un muover d'ala
e ventarmi nel viso e dir: 'Beati
pacifici, che son sanz' ira mala!'.
Già eran sovra noi tanto levati
li ultimi raggi che la notte segue,
che le stelle apparivan da più lati.
'O virtù mia, perché sì ti dilegue?',
fra me stesso dicea, ché mi sentiva
la possa de le gambe posta in triegue.
Noi eravam dove più non saliva
la scala sù, ed eravamo affissi,
pur come nave ch'a la piaggia arriva.
E io attesi un poco, s'io udissi
alcuna cosa nel novo girone;
poi mi volsi al maestro mio, e dissi:
«Dolce mio padre, dì, quale offensione
si purga qui nel giro dove semo?
Se i piè si stanno, non stea tuo sermone».
Ed elli a me: «L'amor del bene, scemo
del suo dover, quiritta si ristora;
qui si ribatte il mal tardato remo.
Ma perché più aperto intendi ancora,
volgi la mente a me, e prenderai
alcun buon frutto di nostra dimora».
«Né creator né creatura mai»,
cominciò el, «figliuol, fu sanza amore,
o naturale o d'animo; e tu 'l sai.
Lo naturale è sempre sanza errore,
ma l'altro puote errar per malo obietto
o per troppo o per poco di vigore.
Mentre ch'elli è nel primo ben diretto,
e ne' secondi sé stesso misura,
esser non può cagion di mal diletto;
ma quando al mal si torce, o con più cura
o con men che non dee corre nel bene,
contra 'l fattore adovra sua fattura.
Quinci comprender puoi ch'esser convene
amor sementa in voi d'ogne virtute
e d'ogne operazion che merta pene.
Or, perché mai non può da la salute
amor del suo subietto volger viso,
da l'odio proprio son le cose tute;
e perché intender non si può diviso,
e per sé stante, alcuno esser dal primo,
da quello odiare ogne effetto è deciso.
Resta, se dividendo bene stimo,
che 'l mal che s'ama è del prossimo; ed esso
amor nasce in tre modi in vostro limo.
È chi, per esser suo vicin soppresso,
spera eccellenza, e sol per questo brama
ch'el sia di sua grandezza in basso messo;
è chi podere, grazia, onore e fama
teme di perder perch' altri sormonti,
onde s'attrista sì che 'l contrario ama;
ed è chi per ingiuria par ch'aonti,
sì che si fa de la vendetta ghiotto,
e tal convien che 'l male altrui impronti.
Questo triforme amor qua giù di sotto
si piange: or vo' che tu de l'altro intende,
che corre al ben con ordine corrotto.
Ciascun confusamente un bene apprende
nel qual si queti l'animo, e disira;
per che di giugner lui ciascun contende.
Se lento amore a lui veder vi tira
o a lui acquistar, questa cornice,
dopo giusto penter, ve ne martira.
Altro ben è che non fa l'uom felice;
non è felicità, non è la buona
essenza, d'ogne ben frutto e radice.
L'amor ch'ad esso troppo s'abbandona,
di sovr' a noi si piange per tre cerchi;
ma come tripartito si ragiona,
tacciolo, acciò che tu per te ne cerchi».
PARAFRASI
Cerca di ricordare, o lettore, se mai fosti sorpreso in montagna dalla nebbia, attraverso la quale tu vedessi come vede la talpa attraverso la membrana che vela i suoi occhi (per pelle: era opinione comune nel Medioevo, come già nell'antichità, che la talpa fosse completamente cieca), come, allorché i vapori umidi e densi della nebbia cominciano a diradarsi, la luce del sole penetra attraverso di essi debolmente: e allora la tua immaginazione ti aiuterà agevolmente ad arrivare a percepire in che modo io (uscendo dal fumo) in un primo momento rividi il sole, che già era vicino a tramontare. Così, andando di pari passo col mio fidato maestro uscii fuori da quella nube, alla vista dei raggi solari ormai scomparsi daIle parti basse della montagna. O fantasia che talvolta ci sottrai a tal punto alle impressioni esteriori, che non ci si accorge anche se intorno a noi squillano mille trombe, che cosa mai ti stimola ad operare, se le percezioni dei sensi non ti offrono le immagini? Certo ti muove una luce che prende forma, in cielo, per forza propria o per volontà di Dio che guida tale luce sulla terra. Nella mia fantasia apparve l'immagine dell'atto empio di Progne, che mutò la sua forma umana in quella dell'uccello che più di tutti si diletta nel canto:be su questa visione la mia mente a tal punto si concentrò in sé, che dalla realtà esteriore non giungeva impressione alcuna che fosse da lei accolta. Poi nella mia fantasia ormai sublimata apparve l'immagine di un uomo, crocifisso, sdegnoso e fiero nell'aspetto, e in quell'atteggiamento lo vedevo morire:battorno a lui stavano il grande Assuero, la sua sposa Ester e il giusto Mardocheo, che fu così onesto nelle parole e nelle opere. E non appena questa visione si dissolse da sé, come si dissolve una bolla d'aria quando si rompe il velo d'acqua entro il quale si è formata,sorse nella mia fantasia la visione di una fanciulla che piangeva disperatamente, e diceva: « O regina, perché per un impeto d'ira hai voluto annientarti? Ti sei uccisa per non perdere la tua Lavinia: ora mi hai perduta davvero! Sono proprio io ora che piango, o madre, per la tua morte prima che per quella di Turno ». Come si rompe il sonno, quando d'improvviso una luce nuova percuote gli occhi chiusi, il quale però, sebbene interrotto, persiste un poco prima di dileguarsi del tutto, allo stesso modo la mia visione disparve non appena colpì il mio volto una luce, assai più intensa di quella (la luce del sole) che siamo abituati a vedere. Io mi guardavo attorno per vedere dove fossi, quando una voce disse: « Si sale da questa parte », la quale distolse la mia mente da ogni altro pensiero, e rese il mio desiderio tanto impaziente di vedere chi era colui che aveva parlato, che non si sarebbe placato, se non venendo di fronte a ciò che desiderava. Ma come accade di fronte al sole che abbaglia l'occhio umano e che per l'eccesso della sua luce si rende invisibile, non diversamente la mia capacità visiva era li vinta (dallo splendore dell'angelo). «Questo è un angelo, che senza essere pregato ci indirizza per la via che sale, e si nasconde nella propria luce. Si comporta con noi con la stessa prontezza con cui l'uomo soddisferebbe i suoi desideri; perché chi vede la necessità e aspetta di essere pregato, si dispone già con malignità a rifiutare l'aiuto. Ora accordiamo i nostri passi a un cosi autorevole invito: cerchiamo di salire prima che diventi buio, perché poi non sarebbe più possibile, finché non ritorna la luce del giorno (secondo la legge del purgatorio: cfr. canto VII, versi 43-60). » Così disse la mia guida, ed insieme ci dirigemmo verso una scala; e appena fui sul primo gradino, sentii vicino a me come il muoversi di un'ala e sul mio viso un soffio di vento e udii dire: « Beati i pacifici, che sotto privi dell'ira irragionevole! ». Gli ultimi raggi del sole ai quali succede la notte, si erano già tanto ritirati sopra di noi (il sole, cioè, è già sceso sotto l'orizzonte), che da più parti apparivano le stelle. Ed io, sentendo che mi era venuta a mancare temporaneamente la forza delle gambe, andavo dicendo fra me: « O mio vigore, perché ti dilegui così? Noi eravamo giunti alla sommità della scala, ed eravamo immobili, proprio come una nave che giunge a riva. Stetti un poco in ascolto, se mai udissi qualcosa nel nuovo girone; quindi mi volsi al mio maestro, e dissi: «Dolce padre, dimmi, che peccato si sconta qui nel girone dove ci troviamo? Anche se i piedi devono restare immobili, non s'arresti il tuo parlare» Ed egli mi rispose: « Proprio qui si ripara l'accidia, che è amore del bene inferiore a quello che dovrebbe essere; qui si batte con maggior lena il remo che era stato mosso con dannosa lentezza (il mal tardato remo: si ripara con la sollecitudine la tiepidezza con cui in vita si agì nei confronti dei beni spirituali). Ma perché tu intenda ancora più chiaramente, volgi a me la tua attenzione, e raccoglierai qualche buon frutto da questa nostra sosta ». Cominciò: « Figliolo, né il Creatore né alcuna creatura furono mai senza amore, o istintivo, o per libera scelta; e tu lo sai bene. L'amore istintivo è sempre esente da errore, ma l'altro può errare o perché si volge a un oggetto cattivo oppure (quando si volge a un oggetto buono) perché vi tende con vigore superiore a quello giusto o con vigore troppo scarso. Finché l'amore d'elezione si dirige a Dio, primo Bene, e verso i beni creati si mantiene nei giusti limiti, non può essere causa di un piacere colpevole; ma quando si volge al male, o corre al bene creato con vigore maggiore o minore del giusto, allora la creatura opera contro il suo Fattore. Da qui puoi comprendere come in voi uomini necessariamente l'amore sia il germe di ogni opera virtuosa e di ogni opera che merita punizione. Ora, siccome l'amore non può mai distogliere lo sguardo dal bene di colui che è il soggetto dell'amore stesso (cioè ogni creatura non può che volere il proprio bene), ne segue che tutti gli esseri sono immuni dall'odio contro se stessi; e poiché nessun essere può venire concepito per sé stante e diviso da Dio, Essere primo, ne segue che ogni creatura è distolta dall'odiare l'Essere primo. Se ragionando per distinzioni giudico rettamente, resta che quando si ama un male, questo è il male del prossimo; e questo amore del male può nascere in tre modi nella vostra natura impastata. di fango. Vi è il superbo che spera di eccellere per il fatto che il suo prossimo è umiliato, e solo per questo brama che il prossimo sia abbattuto dalla sua grandezza: c'è poi l'invidioso che teme di perdere potenza, favori, onore e gloria per il fatto che altri lo superi, e per questo si rattrista tanto da desiderare che gli altri subiscano il contrario; e c'è l'iracondo che per l'ingiuria ricevuta appare adirarsi, tanto da diventare avido di vendetta, e divenuto tale è indotto necessariamente a preparare il male agli altri. Queste tre forme di amore del male sono scontate nei gironi inferiori: ora voglio che tu conosca l'altro amore che si rivolge al bene in modo disordinato. Ogni uomo vagheggia in modo confuso e desidera un bene sommo nel quale l'animo trovi la sua pace; per questo ciascuno di sforza di raggiungerlo. Se à conoscere o a conseguire questo sommo bene (che é Dio stesso) vi spinge un amore debole, questa cornice, dopo il dovuto pentimento, vi darà la pena adeguata. Vi sono altri beni (quelli terreni e perciò limitati) che non rendono l'uomo felice; essi non sono la felicità, non sono il bene per essenza, il quale è compimento e principio d'ogni bene. L'amore che si abbandona con troppo vigore a questi beni, viene espiato nei tre cerchi superiori; ma come questo amore si può dividere mediante il ragionamento in tre specie; tralascio di dirtelo, affinché tu lo ricerchi da te stesso ».
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Introduzione
La "Divina Commedia" è il capolavoro di Dante Alighieri. Essa è un poema diviso in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, a loro volta divisi in 33 canti ciascuno, ad eccezione dell'Inferno, che presenta un canto in più di introduzione. Quindi sono 100 canti in tutto.
L'Inferno dantesco ha una struttura a cono rovesciato, è una gigantesca voragine di forma conica, che si apre nell'emisfero boreale sotto gerusalemme e giunge fino al centro della Terra; esso ebbe origine quando Lucifero si ribellò all'autorità divina e fu così punito da Dio con i suoi seguaci: essi furono scagliati sulla terra che, inorridita per l'empietà, si ritirò dando origine al baratro infernale. Quest'ultimo è preceduto da un ampio vestibolo, cioè l'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, che in vita rifiutarono di seguire per paura e per viltà sia il bene sia il male, e gli angeli che, nello scontro con Dio, rimasero neutrali; tutti questi sono così spregevoli che sono rifiutati sia nell'Inferno sia nel Paradiso. L'Inferno è diviso in nove cerchi concentrici, alcuni dei quali sono a loro volta suddivisi in fasce secondarie: il settimo cerchio è diviso in tre gironi, l'ottavo cerchio è diviso in dieci bolgie, e il nono e ultimo cerchio è diviso in quattro zone. Nell'Inferno vengono punite tutte le anime che hanno sempre peccato in vita e non hanno alcuna speranza di salvezza. Nell'ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, si trova Lucifero, insieme a Giuda, Bruto, Cassio e tutti i traditori dei benfattori.
Il Purgatorio è una montagna immaginaria che si trova su un'isola in mezzo all'oceano. La sua forma a tronco di cono riflette la forma cava dell'Inferno, ossia quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero, precipitato dal cielo. Ai piedi dell'enorme montagna si trova una breve spiaggia, dove approda la piccola nave di penitenti guidata dall'Angelo nocchiero. Da lì inizia la salita di purificazione al monte. Il Purgatorio è diviso in tre parti: l'Antipurgatorio, a sua volta diviso in quattro schiere, dove risiedono i negligenti, ossia coloro che si pentirono all'ultimo momento dei loro peccati; il Purgatorio vero e proprio, diviso in dieci cornici, dove risiedono coloro che, prima di salire in Paradiso, debbono scontare la loro pena, percorrendo tutte le cornici; il Paradiso Terrestre. Il custode del Purgatorio è Catone.
Il Paradiso è diviso in nove cieli (ciascuno dei quali si trova sempre più vicino a Dio), dove risiedono le anime beate, tra cui Beatrice. I primi sette cieli prendono i loro nomi dal pianeta che ha la sua orbita apparente intorno alla Terra. L'ottavo cielo è detto delle "Stelle Fisse" poichè vi orbitano tutti gli altri astri in posizioni reciproche sempre uguali fra di loro. Il nono cielo è detto "Primo Mobile o Cristallino" perchè imprime il movimento agli altri otto cieli precedenti. Infine vi è l'Empireo, cielo eterno e infinito, in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.
L'Inferno dantesco ha una struttura a cono rovesciato, è una gigantesca voragine di forma conica, che si apre nell'emisfero boreale sotto gerusalemme e giunge fino al centro della Terra; esso ebbe origine quando Lucifero si ribellò all'autorità divina e fu così punito da Dio con i suoi seguaci: essi furono scagliati sulla terra che, inorridita per l'empietà, si ritirò dando origine al baratro infernale. Quest'ultimo è preceduto da un ampio vestibolo, cioè l'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, che in vita rifiutarono di seguire per paura e per viltà sia il bene sia il male, e gli angeli che, nello scontro con Dio, rimasero neutrali; tutti questi sono così spregevoli che sono rifiutati sia nell'Inferno sia nel Paradiso. L'Inferno è diviso in nove cerchi concentrici, alcuni dei quali sono a loro volta suddivisi in fasce secondarie: il settimo cerchio è diviso in tre gironi, l'ottavo cerchio è diviso in dieci bolgie, e il nono e ultimo cerchio è diviso in quattro zone. Nell'Inferno vengono punite tutte le anime che hanno sempre peccato in vita e non hanno alcuna speranza di salvezza. Nell'ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, si trova Lucifero, insieme a Giuda, Bruto, Cassio e tutti i traditori dei benfattori.
Il Purgatorio è una montagna immaginaria che si trova su un'isola in mezzo all'oceano. La sua forma a tronco di cono riflette la forma cava dell'Inferno, ossia quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero, precipitato dal cielo. Ai piedi dell'enorme montagna si trova una breve spiaggia, dove approda la piccola nave di penitenti guidata dall'Angelo nocchiero. Da lì inizia la salita di purificazione al monte. Il Purgatorio è diviso in tre parti: l'Antipurgatorio, a sua volta diviso in quattro schiere, dove risiedono i negligenti, ossia coloro che si pentirono all'ultimo momento dei loro peccati; il Purgatorio vero e proprio, diviso in dieci cornici, dove risiedono coloro che, prima di salire in Paradiso, debbono scontare la loro pena, percorrendo tutte le cornici; il Paradiso Terrestre. Il custode del Purgatorio è Catone.
Il Paradiso è diviso in nove cieli (ciascuno dei quali si trova sempre più vicino a Dio), dove risiedono le anime beate, tra cui Beatrice. I primi sette cieli prendono i loro nomi dal pianeta che ha la sua orbita apparente intorno alla Terra. L'ottavo cielo è detto delle "Stelle Fisse" poichè vi orbitano tutti gli altri astri in posizioni reciproche sempre uguali fra di loro. Il nono cielo è detto "Primo Mobile o Cristallino" perchè imprime il movimento agli altri otto cieli precedenti. Infine vi è l'Empireo, cielo eterno e infinito, in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.
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