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Cari lettori,

di ogni canto troverete la versione in volgare e, sotto di essa, la parafrasi. Prima dei canti veri e propri, troverete la vita di Dante, la struttura di Inferno, Purgatorio e Paradiso (ciascuna con la bacheca dei personaggi sotto) e i riassunti dei canti.

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FONTI:

Introduzione

La "Divina Commedia" è il capolavoro di Dante Alighieri. Essa è un poema diviso in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, a loro volta divisi in 33 canti ciascuno, ad eccezione dell'Inferno, che presenta un canto in più di introduzione. Quindi sono 100 canti in tutto.
L'Inferno dantesco ha una struttura a cono rovesciato, è una gigantesca voragine di forma conica, che si apre nell'emisfero boreale sotto gerusalemme e giunge fino al centro della Terra; esso ebbe origine quando Lucifero si ribellò all'autorità divina e fu così punito da Dio con i suoi seguaci: essi furono scagliati sulla terra che, inorridita per l'empietà, si ritirò dando origine al baratro infernale. Quest'ultimo è preceduto da un ampio vestibolo, cioè l'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, che in vita rifiutarono di seguire per paura e per viltà sia il bene sia il male, e gli angeli che, nello scontro con Dio, rimasero neutrali; tutti questi sono così spregevoli che sono rifiutati sia nell'Inferno sia nel Paradiso. L'Inferno è diviso in nove cerchi concentrici, alcuni dei quali sono a loro volta suddivisi in fasce secondarie: il settimo cerchio è diviso in tre gironi, l'ottavo cerchio è diviso in dieci bolgie, e il nono e ultimo cerchio è diviso in quattro zone. Nell'Inferno vengono punite tutte le anime che hanno sempre peccato in vita e non hanno alcuna speranza di salvezza. Nell'ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, si trova Lucifero, insieme a Giuda, Bruto, Cassio e tutti i traditori dei benfattori.
Il Purgatorio è una montagna immaginaria che si trova su un'isola in mezzo all'oceano. La sua forma a tronco di cono riflette la forma cava dell'Inferno, ossia quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero, precipitato dal cielo. Ai piedi dell'enorme montagna si trova una breve spiaggia, dove approda la piccola nave di penitenti guidata dall'Angelo nocchiero. Da lì inizia la salita di purificazione al monte. Il Purgatorio è diviso in tre parti: l'Antipurgatorio, a sua volta diviso in quattro schiere, dove risiedono i negligenti, ossia coloro che si pentirono all'ultimo momento dei loro peccati; il Purgatorio vero e proprio, diviso in dieci cornici, dove risiedono coloro che, prima di salire in Paradiso, debbono scontare la loro pena, percorrendo tutte le cornici; il Paradiso Terrestre. Il custode del Purgatorio è Catone.
Il Paradiso è diviso in nove cieli (ciascuno dei quali si trova sempre più vicino a Dio), dove risiedono le anime beate, tra cui Beatrice. I primi sette cieli prendono i loro nomi dal pianeta che ha la sua orbita apparente intorno alla Terra. L'ottavo cielo è detto delle "Stelle Fisse" poichè vi orbitano tutti gli altri astri in posizioni reciproche sempre uguali fra di loro. Il nono cielo è detto "Primo Mobile o Cristallino" perchè imprime il movimento agli altri otto cieli precedenti. Infine vi è l'Empireo, cielo eterno e infinito, in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.

martedì 17 marzo 2009

Riassunti: Paradiso: Canti da I a XVIII

CANTO I
Luogo: Paradiso Terrestre: Sfera del Fuoco
Premesso che la gloria di Dio penetra ovunque nell’universo, Dante afferma di essere stato nell’Empireo e di aver visto "cose" che nessuno sa e può ridire. Segue l’invocazione ad Apollo perché il dio lo ispiri con la medesima potenza con la quale vinse Marsia: solo così il poeta potrà restituire una tenue immagine del Paradiso. Dante descrive poi la posizione del sole che, essendo primavera, nasce dal punto in cui orizzonte, equatore, eclittica e coluro equinoziale, intersecandosi, formano tre croci. Nell’emisfero australe è mattino, e nell’ora in cui il sole si trova sul meridiano del Purgatorio, ossia a mezzogiorno, Dante e Beatrice salgono dal Paradiso terrestre verso il cielo; mentre il poeta fissa i propri occhi in quelli di Beatrice si sente trasmutare dalla condizione umana a quella divina, e ammette di non sapere se nel momento della salita era solo anima, oppure anima unita al corpo. Volgendo gli occhi verso il moto eterno delle sfere gli sembra di scorgere una parte del cielo accesa dalla luce del sole, così vasta che mai pioggia o fiume formarono lago tanto grande. Egli desidera conoscere le ragioni di quella luce e Beatrice gli spiega che non si trova più in terra ma che sta salendo: a tale notizia Dante si meraviglia non riuscendo a comprendere come il suo corpo pesante possa attraversare corpi leggeri quali l’aria e il fuoco. Beatrice espone allora la dottrina dell’ordine dell’universo, che prevede che tutte le cose si muovano verso il proprio fine seguendo uno specifico istinto; il poeta non deve dunque meravigliarsi dell’evento miracoloso di cui è partecipe perché, oramai libero dal peccato, sta salendo assecondando il proprio istinto naturale.
CANTO II
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti
Dante e la guida si muovono velocissimi e, mentre Beatrice fissa il sole, Dante a sua volta la contempla, sorprendendosi poi per il proprio arrivo nel primo cielo. La sua impressione è quella di essere avvolto in una nube, e il cielo della Luna è paragonato all’acqua che riceve un raggio di luce senza disunirsi. Il poeta non si spiega come due corpi possano compenetrarsi senza subire modificazioni e osserva che questo fenomeno dovrebbe suscitare, per analogia, il desiderio di comprendere come in Cristo poterono unirsi la natura umana e quella divina. Beatrice spiega poi che è erronea la credenza secondo la quale le macchie lunari derivano dalla diversa densità della superficie dell’astro. Le macchie dipendono invece dalla varietà della luce delle stelle, così come si differenzia la varietà della luce in una medesima stella. In tal modo Beatrice espone a Dante anche la teoria dell’influenza dei cieli e delle intelligenze motrici che si manifestano nell’universo nel modo in cui l’anima comunica al corpo umano la propria virtù attraverso molteplici membra, conformate all’uso di facoltà diverse.
CANTO III
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti
Dopo queste spiegazioni Dante è attratto da una visione: vede molti volti indistinti pronti a parlare e credendo trattarsi di immagini riflesse situate alle sue spalle, si volge indietro. Non vede nessuno e allora si volge di nuovo verso Beatrice che gli spiega che egli ha visto non immagini riflesse bensì vere anime. Dante si rivolge all’ombra più desiderosa di parlare e le chiede di rivelare il suo nome e la condizione delle anime che si trovano con lei. Dopo aver affermato che la carità che anima i beati permette loro di appagare il loro desiderio di beatitudine, l’anima dichiara di essere Piccarda Donati. Dante le chiede se le anime che si trovano nel cielo della Luna desiderino raggiungere una sfera più alta per contemplare Dio più da vicino, e l’anima risponde che tutti i beati sono assolutamente felici perché si uniformano alla volontà di Dio e in essa trovano pace. A questo punto Piccarda spiega come, dopo aver vestito l’abito monacale, fu rapita dal chiostro e visse nel mondo secolare; ciò è avvenuto anche a un’altra anima, che Piccarda rivela essere stata l’imperatrice Costanza d’Altavilla. Finito il colloquio Piccarda si dilegua e Dante si rivolge a Beatrice.
CANTO IV
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti
Il poeta è turbato da due dubbi. Se la buona volontà di osservare i voti persiste, Dante si chiede per quale motivo la violenza di chi ha impedito la soddisfazione del voto debba diminuire il merito. Il poeta inoltre si domanda se possa essere vera l’opinione di Platone, secondo cui le anime dopo la morte sembrano ritornare alle stelle. Beatrice spiega allora che tutti i beati hanno la loro sede nell’Empireo ma fruiscono diversamente della dolcezza della beatitudine secondo i propri meriti. Gli spiriti inadempienti ai voti sono scesi nel cielo della Luna per dare al poeta un segno sensibile del loro minor grado di beatitudine. Se dunque è falso che ogni anima ritorni alla propria stella, Platone ha tuttavia colto in parte il vero attribuendo alle stelle influssi sulle anime. Beatrice poi afferma che gli spiriti inadempienti non possono essere totalmente giustificati a causa della violenza subita: se la loro volontà fosse stata assoluta essi sarebbero ritornati comunque al chiostro. Dante è ancora ostacolato da un altro pensiero: sa che i beati non possono mentire però ha sentito da Piccarda che Costanza mantenne ferma la sua volontà di osservare i voti, mentre Beatrice ha affermato che questi spiriti in parte accondiscesero alla violenza. Questa apparente contraddizione è risolta da Beatrice con la distinzione fra volontà assoluta, che non acconsente mai al male, e volontà relativa, che cede, quando teme un male peggiore. A questo punto Dante domanda se l’uomo può soddisfare i voti inadempiuti con altre opere di bene.
CANTO V
Luogo: I cielo: Luna: spiriti mancanti ai voti -
II cielo: Mercurio: spiriti attivi per gloria terrena
Beatrice risponde alla domanda dicendo che il dono più grande che Dio ha fatto all’uomo è il libero arbitrio; da ciò deriva la santità del voto perché in esso si fa sacrificio del dono supremo della libertà, e di conseguenza niente può risarcire un voto inadempiuto. La Chiesa, tuttavia, può concedere dispensa ai voti, per i quali sono necessarie due condizioni: la materia del voto stesso e il patto che si stringe con Dio. Quest’ultimo non si cancella se non con il completo adempimento. La materia del voto può essere commutata con il permesso della Chiesa e solo con un’offerta maggiore della precedente, anche se esistono materie la cui permutazione è impossibile; gli uomini non devono prendere i voti alla leggera e devono osservarli rettamente. Dopo questa spiegazione Beatrice guarda in alto: la trasfigurazione del suo volto impone il silenzio a Dante. Con la rapidità di tre frecce scoccate da un arco essi raggiungono il cielo di Mercurio. Il poeta vede più di mille anime ed è colto dal desiderio di conoscerne la sorte.
CANTO VI
Luogo: II cielo: Mercurio: spiriti attivi per gloria terrena
Lo spirito di Giustiniano dichiara la propria identità dicendo che, dopo il trasferimento dell’aquila imperiale da Roma a Bisanzio, essa finì nelle sue mani. La storia mostra infatti come l’aquila imperiale, dopo essere stata inizialmente in Alba Longa, passò ai re e successivamente alla repubblica romana; quindi fu presa da Cesare e di quello che fece durante l’impero di Ottaviano sono testimoni Bruto e Cassio, le città di Modena e Perugia e Cleopatra. Ma tutte le imprese dell’aquila sino a quel momento sono poca cosa, se confrontate con il suo operato sotto l’imperatore Tiberio, quando Dio poté fare giustizia del peccato originale; mentre con Tito vendicò la crocefissione di Cristo distruggendo Gerusalemme. Quando infine i Longobardi, con Desiderio, aggredirono la Chiesa, Carlo Magno la soccorse e risultò vincitore. Ora Dante può giudicare l’operato politico dei guelfi e dei ghibellini: gli uni oppongono all’aquila i gigli di Francia, gli altri si appropriano del "santo segno" facendone l’emblema del proprio partito. A questo punto Giustiniano risponde alla seconda domanda di Dante dicendo che il cielo di Mercurio è sede di coloro che in terra operarono il bene per conseguire la gloria. Tra questi beati si trova Romeo di Villanova: egli, umile straniero, fece sposare nobilmente le quattro figlie del suo signore Raimondo Beringhieri, da cui subì una ingiusta umiliazione; dopo tale affronto Romeo si allontanò dalla corte, mendicando per il resto della propria vita.
CANTO VII
Luogo: II cielo: Mercurio: spiriti attivi pre gloria terrena
Giustiniano si allontana e Dante è agitato da un altro dubbio. Beatrice lo comprende e lo risolve: perché la morte di Cristo, giusta vendetta della colpa di Adamo, fu vendicata giustamente con la distruzione di Gerusalemme? La natura umana, creata perfetta, fu bandita dal Paradiso Terrestre perché peccatrice: se la pena della croce si commisura, dunque, alla colpevole natura umana - che Cristo assunse incarnandosi - essa fu giusta; se, invece, si considera la persona di Cristo che la subì, essa risulta la più ingiusta. La morte di Gesù piacque a Dio e, per motivi differenti, agli Ebrei: attraverso il sublime sacrificio il cielo si aprì nuovamente all’umanità redenta. Beatrice spiega poi perché Dio abbia voluto redimere l’umanità proprio in questo modo. Dante non ha però inteso un concetto espresso da Beatrice che, accorgendosene, torna a spiegare perché gli elementi naturali siano corruttibili, se è vero che tutto ciò che è creato immediatamente da Dio è eterno. Ciò accade perché solo gli angeli e i cieli si possono dire immediatamente creati da Dio nella completezza del loro essere, mentre gli elementi e i loro composti ricevono forma dall’influsso dei cieli. Queste cause seconde danno vita all’anima sensitiva negli animali e a quella vegetativa nelle piante, mentre l’anima intellettiva deriva direttamente dalla somma bontà. Da questo si può dedurre anche la resurrezione dei corpi in quanto creati senza intermediazione da Dio, in Adamo ed Eva.
CANTO VIII
Luogo: III cielo: Venere: spiriti amanti
Dante si accorge di essere salito al terzo cielo per il fatto che Beatrice risplende maggiormente, e vede nuovi bagliori muoversi in giro a diversa velocità. Uno spirito si avvicina e comincia a parlare spiegando che lì le anime si muovono con il coro dei Principati, ai quali il poeta aveva indirizzato la canzone Voi che ’ntendendo il terzo ciel movete; dopo l’annuire di Beatrice, il poeta chiede allo spirito chi sia. Dalla sua risposta Dante riconosce l’anima di Carlo Martello e gli chiede di risolvere un dubbio: come possa, da un buon seme, nascere un frutto cattivo. Lo spirito spiega che il sommo bene fa in modo che la provvidenza possa influire sulla terra attraverso le influenze celesti, imprimendo ai mortali diverse disposizioni che si concretano nella società nelle molteplici disposizioni umane. L’influsso dei cieli, tuttavia, non distingue una famiglia dall’altra e dunque può accadere che due fratelli siano fra loro completamente diversi: se la provvidenza non agisse in tal modo la natura dei figli sarebbe sempre uguale a quella dei padri. Sciolto questo dubbio, Carlo Martello aggiunge un ultimo "corollario": se la natura non è assecondata dalla fortuna fa sempre una cattiva prova e può avvenire che molti uomini costretti a non assecondare le proprie naturali inclinazioni fuoriescano dalla retta via.
CANTO IX
Luogo: III cielo: Venere: spiriti amanti
Dopo la profezia Carlo Martello si rivolge a Dio e il poeta inveisce contro i mortali che si indirizzano solo alle cose terrene. Si avvicina un altro spirito che desidera parlare al poeta: l’anima appartiene a Cunizza da Romano, che profetizza la sorte delle città di Padova e di Feltre e quella di Rizzardo da Camino. Accanto a sé, Cunizza addita lo spirito di Folchetto da Marsiglia. Quindi Dante desidera conoscere quale anima si trovi dentro alla luce che vede a fianco di quest’ultimo: si tratta di Raab, l’anima più luminosa del cielo, assuntavi per prima in quanto favorì la vittoria di Giosué in Terra Santa. A questo punto Folchetto inveisce contro Firenze, fondata da Lucifero e produttrice di quel denaro maledetto che allontana gli uomini da Dio e trasforma i pastori in lupi, permettendo che si trascurino le Sacre Scritture. Il papa e i cardinali tendono solo a conseguire potere e ricchezze e trascurano di difendere la cristianità: tuttavia, ben presto, il Vaticano e i sepolcri dei martiri saranno liberati dall’immoralità del clero.
CANTO X
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
Il poeta invita il lettore a guardare nel punto in cui l’equatore incontra lo zodiaco: egli fa osservare che da questo punto si distacca - obliqua sull’orizzonte - la fascia su cui si muovono il sole e gli altri pianeti. Se il percorso di questi ultimi non fosse obliquo molte delle loro influenze rimarrebbero senza esito e sarebbero assopite le qualità potenziali della materia. Se poi il divergere dei pianeti fosse maggiore o minore, molte cose sarebbero manchevoli in terra e in cielo. Dante sale con Beatrice nel cielo del Sole. Il poeta ringrazia Dio con tale fervore da dimenticare persino Beatrice, peraltro compiaciuta di ciò. Vede una moltitudine di anime disposte a corona che cantano dolcemente. Al poeta si rivela lo spirito di Tommaso d’Aquino, che alla propria destra indica le anime di Alberto Magno, Graziano, Pietro Lombardo, Salomone, Dionigi l’Areopagita, Paolo Orosio, Severino Boezio, Isidoro, Beda, Riccardo di San Vittore e, infine, Sigieri di Brabante.
CANTO XI
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
Dopo un’apostrofe ai mortali che rivolgono l’animo alle cose terrene, Dante ne elenca le vane preoccupazioni mentre egli - libero da tali affanni - è accolto dai beati. Ogni spirito sapiente torna al proprio posto e Tommaso, più luminoso, spiega a Dante che contemplando Dio, specchio di tutte le cose, egli può vedere che il poeta non ha compreso il significato di alcune frasi. Tommaso spiega quindi che la Provvidenza ha generato due religiosi come guida della Chiesa: San Francesco e San Domenico; poiché parlando di uno dei due si loda ugualmente anche l’altro, Tommaso parlerà di Francesco. Giovane ancora, Francesco si mise in contrasto con il padre per amore di una donna, la Povertà. La concordia di questi due amanti suscitò santi pensieri in altri uomini (Bernardo, Egidio, Silvestro): così Francesco fondò la propria regola che fu approvata solennemente da Onorio III. Dopo una vita dedicata alla diffusione del messaggio di Cristo Francesco ricevette, sul Monte della Verna, le Stimmate. Terminato il proprio panegirico Tommaso parla di San Domenico, fondatore di una regola che se fosse osservata condurrebbe alla vita eterna. Così Dante vede chiarito il suo primo dubbio.
CANTO XII
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
La corona di anime cui appartiene Tommaso riprende la propria danza, ma non ha ancora compiuto un giro che un’altra corona si accorda ad essa. Uno spirito della seconda corona inizia a parlare: tratterà della carità di San Domenico, fondatore dell’ordine a cui è appartenuto San Tommaso. Domenico si mosse con la forza di un torrente in piena contro gli sterpi delle erronee dottrine e percosse violentemente là dove maggiore era la resistenza; se lui fu tale - continua lo spirito - Dante può immaginare la grandezza di Francesco, di cui già sono state fatte le lodi. Ma la traccia di San Francesco non è più seguita e i Francescani tralignano dalla retta via. Se restano ancora alcuni frati fedeli alla regola primitiva essi non appartengono né a Casale, né ad Acquasparta, da dove provengono coloro che hanno travisato lo spirito della regola stessa. A questo punto l’anima si palesa a Dante come San Bonaventura e indica altri beati della sua corona, fra cui Illuminato da Rieti, Agostino di Assisi, Ugo da San Vittore, Pietro Comestore, Pietro Ispano, Natan profeta, San Giovanni Crisostomo, Sant’Anselmo, Donato, Rabano Mauro e Gioacchino da Fiore.
CANTO XIII
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapienti
Terminato il canto e la danza i beati si rivolgono a Dante e a Beatrice, e Tommaso scioglie il secondo dubbio di Dante spiegando perché, se è vero che Dio ha infuso in Adamo e in Cristo tanta sapienza quanta può essere concessa alla natura umana, Salomone non ebbe chi lo uguagliasse in sapienza. Dalle gerarchie angeliche la luce di Dio scende sino agli elementi del mondo sublunare producendo - nell’ultimo passaggio - solo cose corruttibili: la materia di tali cose generate può trovarsi in varie condizioni e riflettere la luce divina in misura maggiore o minore. Per questo gli uomini nascono con diversi ingegni, mentre Dio, operando direttamente, può infondere nella cosa creata tutta la perfezione: in tal modo furono creati Adamo e la Vergine. Quindi Dante è nel giusto quando pensa che la natura umana raggiunse la propria perfezione solo in Adamo e in Cristo; ma quando Salomone era re, chiese a Dio la sapienza necessaria a governare il proprio regno. Quindi il suo "vedere" si deve intendere come la sapienza e il "surse" si deve riferire solo alla persona dei re. Tommaso termina affermando che l’uomo non deve affrettarsi nel giudicare il prossimo poiché il disegno di Dio è imperscrutabile.
CANTO XIV
Luogo: IV cielo: Sole: spiriti sapieti -
V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Beatrice prende la parola e si rivolge ai beati dicendo che Dante desidererebbe una spiegazione intorno a un dubbio ulteriore: se cioè la luce di cui gli spiriti si ammantano rimarrà tale dopo la resurrezione e se - in caso affermativo - gli occhi potranno sopportare tanta luminosità. Salomone risponde al poeta dicendo che la luce durerà in eterno con una intensità proporzionale al merito di ciascuna anima: dopo la resurrezione i beati - riunita l’anima al corpo - si troveranno in uno stato di maggiore perfezione e in tal modo si accresceranno la grazia, la visione, l’ardore e il corrispondente splendore. Salomone risponde anche alla seconda parte della domanda dicendo che i corpi stessi dei beati appariranno allora più luminosi della luce che li avvolge; ma tanta luce non offenderà la vista, dato che anche gli organi sensibili saranno più perfetti. Improvvisamente Dante vede formarsi una terza corona e, rivolto a Beatrice, domanda dove si trovino: comprende di essere giunto nel cielo di Marte perché lo vede così fiammeggiante che gli sembra più rosso del solito. In questo cielo appaiono splendori disposti in due liste luminosissime, così da formare una croce. Nel mezzo di tal croce il pellegrino vede apparire e sparire, in un lampo, la figura divina di Cristo: sebbene il poeta non possa comprendere pienamente le parole del canto che ora lo rapisce, si rende conto di udire un inno di amore e lode.
CANTO XV
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Dal braccio destro della croce si muove uno degli spiriti luminosi, scorrendo lungo la lista, ad angolo retto, come un fuoco dietro un alabastro trasparente. Lo spirito si rivela quello di Cacciaguida, trisavolo di Dante, e si rivolge a lui con lo stesso affetto con cui Anchise si rivolse a Enea nei Campi Elisi. Il poeta lo guarda, quindi si rivolge alla propria guida e rimane stupito perché gli occhi di lei sono così belli da fargli credere di aver raggiunto il grado più alto della sua beatitudine. Cacciaguida - sfogato l’ardore del proprio amore - abbassa il tono del suo linguaggio e ringrazia Dio per l’eccezionale privilegio concesso a un suo discendente. Egli è stato infatti progenitore di Dante, e colui che diede il nome alla casata degli Alighieri fu suo figlio. Cacciaguida parla della Firenze antica, quando entro la cerchia delle mura la cittadinanza viveva in pace e in sobrietà; narra poi di essere stato battezzato in San Giovanni e di aver avuto come fratelli Moronto ed Eliseo e come moglie una donna della valle del Po. Fu ucciso mentre partecipava alla crociata contro i Musulmani sotto l’imperatore Corrado III di Svevia, e meritò la beatitudine eterna.
CANTO XVI
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Dante rivolge al proprio avo quattro domande: chi furono i suoi antenati, in quale anno nacque, quanto era numerosa ai suoi tempi la popolazione fiorentina, quali erano le famiglie più eminenti. Cacciaguida afferma di essere nato nel 1091, quindi risponde alla prima domanda dicendo che egli e i suoi predecessori nacquero a Firenze là dove comincia il sestiere di Porta San Pietro. Nella terza risposta spiega poi che la popolazione dei suoi tempi corrispondeva alla quinta parte dell’attuale; la cittadinanza era pura anche nelle classi più umili e meglio sarebbe stato se la gente del contado non fosse penetrata in Firenze, recandovi il puzzo delle frodi e delle baratterie. Rispondendo all’ultimo quesito lo spirito sottolinea prima che non ci si deve stupire se decadono le famiglie più importanti, poiché tutte le cose umane sono soggette alla decadenza; passa quindi in rassegna le famiglie del suo tempo, alcune illustri per antica origine ma sulla strada del decadimento, altre ancora fiorenti. Esse abitavano presso la Porta di San Pietro dove ora abitano i Cerchi, che saranno la rovina di Firenze. Ultimi a essere annoverati sono gli esponenti dei Buondelmenti e degli Amidei, che furono causa di tante sciagure della città. Cacciaguida termina il suo improperium dicendo che, mentre egli era in vita, il giglio di Firenze non era ancora stato oltraggiato e mutato da bianco in rosso a causa della divisione delle fazioni.
CANTO XVII
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede
Dante chiede all’avo di rivelargli le future vicende della sua vita, e Cacciaguida risponde dicendo che la conoscenza dell’avvenire gli deriva da Dio: il poeta dovrà partire da Firenze e la colpa dell’esilio sarà attribuita inevitabilmente all’offeso, anche se la vendetta divina offrirà testimonianza della verità. Dante sarà quindi ospitato da Bartolomeo della Scala, e a Verona incontrerà Cangrande; il mondo non si è ancora accorto di quest’ultimo, che è ancora fanciullo, ma prima che papa Clemente V inganni l’imperatore Arrigo di Lussemburgo si paleseranno i segni della sua grandezza. Il discorso si conclude con l’ammonimento a non odiare i concittadini, perché la gloria di Dante durerà oltre il tempo nel quale essi saranno puniti delle loro malvagità. Il poeta si rivolge allora al proprio avo per esporgli un dubbio: se divulgherà le cose apprese durante il viaggio teme di incorrere nell’odio di molti ma, se le tacerà, teme di non conseguire fama presso i posteri. Lo spirito gli risponde che solo le coscienze offuscate dal peccato sentiranno l’asprezza delle sue parole: che egli narri tutto ciò che ha veduto perché la sua voce costituirà "vitale nutrimento" per l’umanità.
CANTO XVIII
Luogo: V cielo: Marte: spiriti combattenti per la fede -
VI cielo: Giove: spiriti giusti
A questo punto lo spirito rivela a Dante che nel cielo di Marte, dove essi si trovano, vi sono anime appartenute a uomini molto famosi e invita il pellegrino a osservare i bracci della croce, dai quali scenderanno altri beati. Giosué, Giuda Maccabeo, Carlo Magno, Orlando, Guglielmo d’Orange e Renoardo, Goffredo di Buglione, Roberto Guiscardo scorrono rapidamente e si mostrano al poeta: quindi anche Cacciaguida riprende il proprio posto. Dante si accorge di essere salito al cielo successivo, quello di Giove; e qui, gli spiriti, sfavillanti d’amore, tracciano alcune lettere dell’alfabeto. Alla fine si sono formate trentacinque lettere che costituiscono la frase "Diligite iustitiam qui iudicatis terram". I beati restano fermi sulla M di terram , quindi altri spiriti si posano sulla sommità della lettera e levandosi ancora più e meno in alto, secondo il grado della rispettiva beatitudine, formano la testa e il collo di un’aquila, mentre le anime di coloro che avevano costituito la M, con un ultimo movimento, determinano l’intera figura dell’uccello divino. A tal segno Dante comprende che la giustizia dipende - nel mondo - dagli influssi celesti di Giove e prega Dio di rivolgersi al luogo d’origine di tante corrotte passioni, disperdendo il dilagante traviamento della Chiesa.

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