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Cari lettori,

di ogni canto troverete la versione in volgare e, sotto di essa, la parafrasi. Prima dei canti veri e propri, troverete la vita di Dante, la struttura di Inferno, Purgatorio e Paradiso (ciascuna con la bacheca dei personaggi sotto) e i riassunti dei canti.

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FONTI:

Introduzione

La "Divina Commedia" è il capolavoro di Dante Alighieri. Essa è un poema diviso in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, a loro volta divisi in 33 canti ciascuno, ad eccezione dell'Inferno, che presenta un canto in più di introduzione. Quindi sono 100 canti in tutto.
L'Inferno dantesco ha una struttura a cono rovesciato, è una gigantesca voragine di forma conica, che si apre nell'emisfero boreale sotto gerusalemme e giunge fino al centro della Terra; esso ebbe origine quando Lucifero si ribellò all'autorità divina e fu così punito da Dio con i suoi seguaci: essi furono scagliati sulla terra che, inorridita per l'empietà, si ritirò dando origine al baratro infernale. Quest'ultimo è preceduto da un ampio vestibolo, cioè l'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, che in vita rifiutarono di seguire per paura e per viltà sia il bene sia il male, e gli angeli che, nello scontro con Dio, rimasero neutrali; tutti questi sono così spregevoli che sono rifiutati sia nell'Inferno sia nel Paradiso. L'Inferno è diviso in nove cerchi concentrici, alcuni dei quali sono a loro volta suddivisi in fasce secondarie: il settimo cerchio è diviso in tre gironi, l'ottavo cerchio è diviso in dieci bolgie, e il nono e ultimo cerchio è diviso in quattro zone. Nell'Inferno vengono punite tutte le anime che hanno sempre peccato in vita e non hanno alcuna speranza di salvezza. Nell'ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, si trova Lucifero, insieme a Giuda, Bruto, Cassio e tutti i traditori dei benfattori.
Il Purgatorio è una montagna immaginaria che si trova su un'isola in mezzo all'oceano. La sua forma a tronco di cono riflette la forma cava dell'Inferno, ossia quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero, precipitato dal cielo. Ai piedi dell'enorme montagna si trova una breve spiaggia, dove approda la piccola nave di penitenti guidata dall'Angelo nocchiero. Da lì inizia la salita di purificazione al monte. Il Purgatorio è diviso in tre parti: l'Antipurgatorio, a sua volta diviso in quattro schiere, dove risiedono i negligenti, ossia coloro che si pentirono all'ultimo momento dei loro peccati; il Purgatorio vero e proprio, diviso in dieci cornici, dove risiedono coloro che, prima di salire in Paradiso, debbono scontare la loro pena, percorrendo tutte le cornici; il Paradiso Terrestre. Il custode del Purgatorio è Catone.
Il Paradiso è diviso in nove cieli (ciascuno dei quali si trova sempre più vicino a Dio), dove risiedono le anime beate, tra cui Beatrice. I primi sette cieli prendono i loro nomi dal pianeta che ha la sua orbita apparente intorno alla Terra. L'ottavo cielo è detto delle "Stelle Fisse" poichè vi orbitano tutti gli altri astri in posizioni reciproche sempre uguali fra di loro. Il nono cielo è detto "Primo Mobile o Cristallino" perchè imprime il movimento agli altri otto cieli precedenti. Infine vi è l'Empireo, cielo eterno e infinito, in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.

venerdì 6 marzo 2009

Paradiso: Canto XIV

Dal centro al cerchio, e sì dal cerchio al centro
movesi l'acqua in un ritondo vaso,
secondo ch'è percosso fuori o dentro:

ne la mia mente fé sùbito caso
questo ch'io dico, sì come si tacque
la glorïosa vita di Tommaso,

per la similitudine che nacque
del suo parlare e di quel di Beatrice,
a cui sì cominciar, dopo lui, piacque:

«A costui fa mestieri, e nol vi dice
né con la voce né pensando ancora,
d'un altro vero andare a la radice.

Diteli se la luce onde s'infiora
vostra sustanza, rimarrà con voi
etternalmente sì com' ell' è ora;

e se rimane, dite come, poi
che sarete visibili rifatti,
esser porà ch'al veder non vi nòi».

Come, da più letizia pinti e tratti,
a la fïata quei che vanno a rota
levan la voce e rallegrano li atti,

così, a l'orazion pronta e divota,
li santi cerchi mostrar nova gioia
nel torneare e ne la mira nota.

Qual si lamenta perché qui si moia
per viver colà sù, non vide qui
velo refrigerio de l'etterna ploia.

Quell' uno e due e tre che sempre vive
e regna sempre in tre e 'n due e 'n uno,
non circunscritto, e tutto circunscrive,

tre volte era cantato da ciascuno
di quelli spirti con tal melodia,
ch'ad ogne merto saria giusto muno.

E io udi' ne la luce più dia
del minor cerchio una voce modesta,
forse qual fu da l'angelo a Maria,

risponder: «Quanto fia lunga la festa
di paradiso, tanto il nostro amore
si raggerà dintorno cotal vesta.

La sua chiarezza séguita l'ardore;
l'ardor la visïone, e quella è tanta,
quant' ha di grazia sovra suo valore.

Come la carne glorïosa e santa
fia rivestita, la nostra persona
più grata fia per esser tutta quanta;

per che s'accrescerà ciò che ne dona
di gratüito lume il sommo bene,
lume ch'a lui veder ne condiziona;

onde la visïon crescer convene,
crescer l'ardor che di quella s'accende,
crescer lo raggio che da esso vene.

Ma sì come carbon che fiamma rende,
e per vivo candor quella soverchia,
sì che la sua parvenza si difende;

così questo folgór che già ne cerchia
fia vinto in apparenza da la carne
che tutto dì la terra ricoperchia;

né potrà tanta luce affaticarne:
ché li organi del corpo saran forti
a tutto ciò che potrà dilettarne».

Tanto mi parver sùbiti e accorti
e l'uno e l'altro coro a dicer «Amme!»,
che ben mostrar disio d'i corpi morti:

forse non pur per lor, ma per le mamme,
per li padri e per li altri che fuor cari
anzi che fosser sempiterne fiamme.

Ed ecco intorno, di chiarezza pari,
nascere un lustro sopra quel che v'era,
per guisa d'orizzonte che rischiari.

E sì come al salir di prima sera
comincian per lo ciel nove parvenze,
sì che la vista pare e non par vera,

parvemi lì novelle sussistenze
cominciare a vedere, e fare un giro
di fuor da l'altre due circunferenze.

Oh vero sfavillar del Santo Spiro!
come si fece sùbito e candente
a li occhi miei che, vinti, nol soffriro!

Ma Bëatrice sì bella e ridente
mi si mostrò, che tra quelle vedute
si vuol lasciar che non seguir la mente.

Quindi ripreser li occhi miei virtute
a rilevarsi; e vidimi translato
sol con mia donna in più alta salute.

Ben m'accors' io ch'io era più levato,
per l'affocato riso de la stella,
che mi parea più roggio che l'usato.

Con tutto 'l core e con quella favella
ch'è una in tutti, a Dio feci olocausto,
qual conveniesi a la grazia novella.

E non er' anco del mio petto essausto
l'ardor del sacrificio, ch'io conobbi
esso litare stato accetto e fausto;

ché con tanto lucore e tanto robbi
m'apparvero splendor dentro a due raggi,
ch'io dissi: «O Elïòs che sì li addobbi!».

Come distinta da minori e maggi
lumi biancheggia tra ' poli del mondo
Galassia sì, che fa dubbiar ben saggi;

sì costellati facean nel profondo
Marte quei raggi il venerabil segno
che fan giunture di quadranti in tondo.

Qui vince la memoria mia lo 'ngegno;
ché quella croce lampeggiava Cristo,
sì ch'io non so trovare essempro degno;

ma chi prende sua croce e segue Cristo,
ancor mi scuserà di quel ch'io lasso,
vedendo in quell' albor balenar Cristo.

Di corno in corno e tra la cima e 'l basso
si movien lumi, scintillando forte
nel congiugnersi insieme e nel trapasso:

così si veggion qui diritte e torte,
veloci e tarde, rinovando vista,
le minuzie d'i corpi, lunghe e corte,

moversi per lo raggio onde si lista
talvolta l'ombra che, per sua difesa,
la gente con ingegno e arte acquista.

E come giga e arpa, in tempra tesa
di molte corde, fa dolce tintinno
a tal da cui la nota non è intesa,

così da' lumi che lì m'apparinno
s'accogliea per la croce una melode
che mi rapiva, sanza intender l'inno.

Ben m'accors' io ch'elli era d'alte lode,
però ch'a me venìa «Resurgi» e «Vinci»
come a colui che non intende e ode.

Ïo m'innamorava tanto quinci,
che 'nfino a lì non fu alcuna cosa
che mi legasse con sì dolci vinci.

Forse la mia parola par troppo osa,
posponendo il piacer de li occhi belli,
ne' quai mirando mio disio ha posa;

ma chi s'avvede che i vivi suggelli
d'ogne bellezza più fanno più suso,
e ch'io non m'era lì rivolto a quelli,

escusar puommi di quel ch'io m'accuso
per escusarmi, e vedermi dir vero:
ché 'l piacer santo non è qui dischiuso,

perché si fa, montando, più sincero.

PARAFRASI

In un recipiente rotondo la superficie dell’acqua si increspa (in cerchi concentrici che vanno) dall’orlo verso il centro, e dal centro verso l’orlo, a seconda che l’acqua sia percossa da un colpo dato sulla parete esterna del recipiente o all’interno. Questo fenomeno dell’acqua di cui parlo, mi venne improvvisamente in mente, non appena tacque l’anima santa di Tommaso, per la somiglianza che nacque fra le sue parole ( che dalla parte esterna della corona dei beati si muovevano verso il centro dove si trovavano Dante e Beatrice ) e quelle di Beatrice ( che dal centro si volgevano verso la circonferenza della corona), alla quale piacque cominciare, dopo di lui, in questo modo: “ A costui (Dante) è necessario andare a fondo di un’altra verità, ma non osa dirvelo né con le parole né ancora col pensiero. Ditegli se la luce di cui si adorna la vostra anima rimarrà con voi eternamente cosi com’è ora: e se rimarrà inalterata, spiegategli come, dopo che ( avendo ripreso il corpo ) sarete ridiventati visibili, potrà accadere che (questa luce) non riesca molesta ai vostri occhi. ” Come talvolta coloro che danzano in circolo, sospinti e trascinati da una crescente allegria, alzano (cantando) la voce e si muovono con più vivacità, cosi, alla pronta e riverente preghiera (di Beatrice), le due corone di spiriti beati mostrarono la loro accresciuta letizia col girare intorno più velocemente e con la meravigliosa armonia del loro canto. Chi si lamenta che qui in terra l’uomo debba morire per passare alla vita del cielo, non ha certo visto lassù il ristoro che reca la pioggia della grazia La Trinità che sempre vive e sempre regna unita in ciascuna delle tre persone, non limitata da nulla, e che tutto abbraccia e contiene, tre volte era glorificata dal canto di ciascuno di quegli spiriti con così soave melodia, che (I’udirla) sarebbe giusta ricompensa anche al merito più grande. Ed io udii nella luce più fulgida della prima corona (attorno ad esso si era formato il secondo, più ampio) una voce soave, simile forse a quella con cui l’arcangelo Gabriele si rivolse a Maria (nell’Annunciazione), rispondere: “Finché durerà il gaudio della celeste beatitudine, il nostro amore irradierà intorno questa veste (luminosa che ci fascia). Lo splendore (di questa veste) è proporzionato all’ardore di carità ( di cui siamo infiammati); il nostro ardore è proporzionato alla visione (più o meno profonda, che abbiamo di Dio), e la visione è proporzionata alla grazia divina aggiunta al merito di ciascuno. Quando (nel giorno del Giudizio Universale ) rivestiremo il nostro corpo reso glorioso e santo (dall’anima beata), il nostro essere sarà più caro ( a Dio ) perché sarà diventato più completo; Ritorna ancora una volta il principio aristotelico-tomista da Dante già enunciato nel canto VI dell'Inferno ( versi 106-108): la perfezione dell'essere umano è nell'unione di anima e di corpo, la quale si ricostituirà per l'eternità nel giorno del Giudizio Universale. per questa perfezione si accrescerà il dono della Grazia illuminante che Dio, sommo Bene, ci offre, e che ci mette in condizione di poterLo vedere; per tale motivo deve crescere la visione di Dio, deve crescere l’ ardore di carità che essa accende, deve crescere la luce che da questo ardore deriva. Ma come il carbone che produce la fiamma, e la supera (in splendore) per la sua viva incandescenza, così che la sua forma non si lascia nascondere ( dalla luce della fiamma), così questo fulgore che fin d’ora ci circonda sarà vinto in efficacia visiva dal fulgore del nostro corpo che per ora è ricoperto dalla terra; tuttavia tanta luce non potrà abbagliarci, perché i nostri sensi avranno potenza sufficiente a percepire e sostenere tutto ciò che potrà essere motivo di beatitudine. Gli spiriti delle due corone mi apparvero tanto pronti e veloci a dire “ Cosi sia ! ”, che mostrarono chiaramente il desiderio di ricongiungersi ai loro corpi; forse non tanto per se stessi, ma per la madre, il padre e per tutti coloro che ebbero cari (in terra) : prima di diventare eterni fulgori (in cielo). Ed ecco apparire intorno (alle due corone) una luce, di splendore pari (a quella dei due cerchi di beati), superiore alla luminosità del sole, simile al chiarore che si diffonde all’orizzonte quando il sole sorge. E come sul far della sera cominciano ad apparire nel cielo le prime stelle, così (tenui) che l’aspetto di esse appare e non appare reale, così mi sembrò di vedere lì nuove anime, e mi sembrò che esse si disponessero in cerchio intorno alle : altre due corone. Oh verace splendore dello Spirito Santo! come esso divenne improvvisamente incandescente alla mia vista che, sopraffatta, non poté sopportarlo! Ma Beatrice mi apparve così bella e splendente, che (la sua immagine) si deve lasciare tra quelle visioni paradisiache che la memoria non è stata capace di fissare dentro di se. Da Beatrice i miei occhi ripresero forza per risollevarsi, e mi vidi trasferito solo con la mia donna in un più alto grado di beatitudine. Mi accorsi chiaramente che ero salito in un cielo superiore, per lo sfavillio incandescente della stella, che mi appariva più rosseggiante del solito. Con tutto il mio cuore e con il linguaggio dell’anima che è unico per tutti gli uomini, feci a Dio l’offerta di tutto me stesso, come era giusto fare in risposta alla nuova grazia ricevuta (quella di essere stato assunto in un cielo più alto). E non si era ancora esaurito nel mio petto l’ardore di quella offerta, che mi accorsi che quel mio sacrificio (litare: è termine latino, che significa “ celebrare un sacrificiò ” ) era stato gradito (a Dio) ed efficace, perché disposte su due liste luminose mi apparvero anime splendenti, così luminose e così affocate, che dissi: “ O Dio che rivesti queste anime di tanta luce! ” Come la Galassia si distende con la sua striscia luminosa costellata da stelle di minore o maggiore grandezza dall’uno all’altro polo del cielo, in modo che fa restare incerti anche i più sapienti, così disposte a modo di costellazione con stelle di diversa grandezza dentro il cielo di Marte quelle due liste luminose formavano il venerando segno (della croce), che è costituito dati intersecarsi delle linee che congiungono le quattro parti in cui è diviso il cerchio. A questo punto la mia memoria supera le possibilità del mio ingegno (incapace di esprimere a parole una simile visione), perché in quella croce sfolgorava la figura di Cristo, in modo che io non so trovare un’immagine adeguata per rappresentarla; ma chi (nel mondo) prende la sua croce e segue Cristo, quando un giorno Lo vedrà sfolgorare in questa luce biancheggiante, mi scuserà allora di quanto io tralascio. Da un braccio all’altro della lista orizzontale e tra una estremità e l’altra della linea verticale si muovevano gli spiriti luminosi, risplendendo più intensamente nell’atto di incontrarsi e di oltrepassarsi: allo stesso modo sulla terra si vedono i corpuscoli del pulviscolo atmosferico in direzione diritta o obliqua, con moto rapido o lento, mutando aspetto, in forma allungata o corta, muoversi nel raggio di luce da cui è tagliata talvolta l’oscurità (di una stanza), oscurità che l’uomo si procura per difendersi dalla luce del sole con espedienti escogitati dall’ingegno e realizzati praticamente. E come la giga (strumento musicale simile al violino) e l’arpa, con l’ armonico temperarsi di molte corde diverse, creano un suono dolce anche all’orecchio di chi non intende l’insieme della melodia, così da quelle luci che lì mi apparvero si diffondeva lungo la croce una melodia che mi estasiava con la sua dolcezza, senza che io riuscissi a capire le parole del canto. (Pur senza intendere il suo significato) mi accorsi facilmente che esso era un canto di solenne glorificazione, perché mi giungevano le parole “ Resurgi ” e “ Vinci ”, come a colui che ode qualche parola ma non intende tutto il senso di un discorso. Dalla dolcezza di questo canto io traevo un così profondo amore (verso queste cose), che fino a quel momento non vi fu niente che mi avesse avvinto con così soavi legami. Forse la mia parola può sembrare troppo ardita, poiché pospongo ( al piacere provato in questo momento) la gioia che ricevo dai begli occhi (di Beatrice ), contemplando i quali si appaga ogni mio desiderio: ma chi considera che gli occhi di Beatrice, viva rappresentazione di ogni bellezza, operano più efficacemente quanto più si sale attraverso i cieli, e che io nella sfera di Marte non mi ero ancora rivolto verso di essi, mi può scusare di quello di cui io mi accuso (cioè di aver osato troppo con le mie parole) per giustificarmi (di aver posposto al piacere del canto il piacer delli occhi belli), e può costatare che dico la verità, poiché la divina bellezza (di Beatrice) non è stata qui dimenticata dalle mie parole, dal momento che anch’ essa, man mano che si ascende, diventa sempre più perfetta.

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