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Cari lettori,

di ogni canto troverete la versione in volgare e, sotto di essa, la parafrasi. Prima dei canti veri e propri, troverete la vita di Dante, la struttura di Inferno, Purgatorio e Paradiso (ciascuna con la bacheca dei personaggi sotto) e i riassunti dei canti.

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FONTI:

Introduzione

La "Divina Commedia" è il capolavoro di Dante Alighieri. Essa è un poema diviso in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, a loro volta divisi in 33 canti ciascuno, ad eccezione dell'Inferno, che presenta un canto in più di introduzione. Quindi sono 100 canti in tutto.
L'Inferno dantesco ha una struttura a cono rovesciato, è una gigantesca voragine di forma conica, che si apre nell'emisfero boreale sotto gerusalemme e giunge fino al centro della Terra; esso ebbe origine quando Lucifero si ribellò all'autorità divina e fu così punito da Dio con i suoi seguaci: essi furono scagliati sulla terra che, inorridita per l'empietà, si ritirò dando origine al baratro infernale. Quest'ultimo è preceduto da un ampio vestibolo, cioè l'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, che in vita rifiutarono di seguire per paura e per viltà sia il bene sia il male, e gli angeli che, nello scontro con Dio, rimasero neutrali; tutti questi sono così spregevoli che sono rifiutati sia nell'Inferno sia nel Paradiso. L'Inferno è diviso in nove cerchi concentrici, alcuni dei quali sono a loro volta suddivisi in fasce secondarie: il settimo cerchio è diviso in tre gironi, l'ottavo cerchio è diviso in dieci bolgie, e il nono e ultimo cerchio è diviso in quattro zone. Nell'Inferno vengono punite tutte le anime che hanno sempre peccato in vita e non hanno alcuna speranza di salvezza. Nell'ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, si trova Lucifero, insieme a Giuda, Bruto, Cassio e tutti i traditori dei benfattori.
Il Purgatorio è una montagna immaginaria che si trova su un'isola in mezzo all'oceano. La sua forma a tronco di cono riflette la forma cava dell'Inferno, ossia quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero, precipitato dal cielo. Ai piedi dell'enorme montagna si trova una breve spiaggia, dove approda la piccola nave di penitenti guidata dall'Angelo nocchiero. Da lì inizia la salita di purificazione al monte. Il Purgatorio è diviso in tre parti: l'Antipurgatorio, a sua volta diviso in quattro schiere, dove risiedono i negligenti, ossia coloro che si pentirono all'ultimo momento dei loro peccati; il Purgatorio vero e proprio, diviso in dieci cornici, dove risiedono coloro che, prima di salire in Paradiso, debbono scontare la loro pena, percorrendo tutte le cornici; il Paradiso Terrestre. Il custode del Purgatorio è Catone.
Il Paradiso è diviso in nove cieli (ciascuno dei quali si trova sempre più vicino a Dio), dove risiedono le anime beate, tra cui Beatrice. I primi sette cieli prendono i loro nomi dal pianeta che ha la sua orbita apparente intorno alla Terra. L'ottavo cielo è detto delle "Stelle Fisse" poichè vi orbitano tutti gli altri astri in posizioni reciproche sempre uguali fra di loro. Il nono cielo è detto "Primo Mobile o Cristallino" perchè imprime il movimento agli altri otto cieli precedenti. Infine vi è l'Empireo, cielo eterno e infinito, in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.

martedì 17 marzo 2009

Riassunti: Purgatorio: Canti da I a XVIII

CANTO I
Luogo: Antipurgatorio: spiaggia
All’invocazione alle Muse, che occupa i primi dodici versi del canto, segue la ripresa del racconto: è l’alba del quarto giorno dall’inizio del viaggio e Dante, la cui vista è finalmente allietata, dopo lo spettacolo dell’"aura" infernale, dall’azzurro terso dell’aria, scorge prima il pianeta Venere e poi "quattro stelle", rappresentative, secondo i commentatori, delle virtù cardinali. Quand’ecco che il poeta vede il primo personaggio del Purgatorio, il "veglio solo" Catone l’Uticense, custode del secondo regno. Egli apostrofa Dante e Virgilio chiedendo loro come abbiano potuto sfuggire all’Inferno e se ciò sia accaduto perché le leggi sono cambiate oppure perché in cielo è stato fissato un nuovo decreto. Virgilio allora gli spiega brevemente le ragioni del loro arrivo, invitandolo ad accettare di buon grado la presenza di Dante, facendo a tal fine leva sulla vicenda personale di Catone, suicida per la libertà. Ma le lusinghe della memoria non possono toccare quell’anima, che scompare all’improvviso, dopo avere esortato Dante a compiere il rito di purificazione sulla spiaggia dell’isola purgatoriale. Giunti sul lido, davanti allo spettacolo del "tremolar della marina", Virgilio deterge il volto di Dante della caligine infernale e infine lo cinge del giunco, simbolo di umiltà.
CANTO II
Luogo: Antipurgatorio: spiaggia
Dante e Virgilio si trovano ancora sulla riva del mare quando vedono approdare sul lido una piccola imbarcazione a bordo della quale si trovano l’Angelo nocchiero e le anime degli espiandi che in coro intonano il salmo In exitu Israel). Dopo aver ricevuto la benedizione dell’Angelo, gli spiriti scendono sulla spiaggia, e ignari della strada da prendere per raggiungere la montagna del Purgatorio, chiedono informazioni ai due poeti. Virgilio risponde loro confessando di essere anch’egli inesperto del luogo. A quel punto, le anime si rendono conto che Dante è ancora vivo e la loro meraviglia è tale che per guardar lui dimenticano quasi di andarsi a purificare. Una di loro si fa avanti e pochi versi dopo apprendiamo che si tratta di Casella, il musico, amico di Dante. Quest’ultimo si mostra stupito di trovarlo in quel luogo e in quel momento, dato che molto tempo è ormai passato dalla morte di costui. Il dubbio del poeta non sarà sciolto che parzialmente dalle parole di Casella, il quale ricorda che è alle foci del Tevere che si raccolgono le anime destinate al Purgatorio. Dante che prima lo aveva pregato di fermarsi a parlare con lui adesso gli chiede di consolare il suo spirito con il canto, come faceva un tempo. Casella intona allora un testo dello stesso Dante, la canzone Amor che ne la mente mi ragiona, e la dolcezza del suo canto ammalia tutti, Virgilio compreso, distogliendoli dal loro dovere. A scuoterli dall’oblio interviene Catone, riapparso all’improvviso, che rimprovera la loro negligenza e incita le anime all’espiazione: esse allora, simili a colombe spaventate, fuggono verso il pendio del monte. E i due poeti riprendono il cammino.
CANTO III
Luogo: Antipurgatorio: I schiera: negligenti: morti scomunicati
Dante si accorge che il rimprovero di Catone ha turbato la coscienza di Virgilio. Colpito dai raggi solari, vede solo la sua ombra proiettarsi a terra ed è colto dal terrore, ma volgendosi di lato è confortato dalla vista della sua guida che gli spiega per quale motivo le anime siano prive dell’ombra. Segue, sempre per bocca di Virgilio, un’altra celebre esortazione: l’uomo si accontenti di quanto gli è concesso capire, poiché conoscere le cause ultime delle cose, e quindi Dio, gli è precluso. Poi, di nuovo turbato, il poeta latino tace. Intanto i due sono arrivati ai piedi della montagna, ma la parete è così scoscesa che lo stesso Virgilio appare in difficoltà. Ecco allora che Dante scorge una schiera di anime che avanzano lentamente: i due poeti si fanno loro incontro, ma esse, spaventate, si stringono tutte alla parete del monte, guardando perplesse i pellegrini. Virgilio chiede come sia possibile salire sul versante del pendio. Come accade in un gregge di pecorelle, l’avanguardia di quella schiera si fa avanti, per ritrarsi però subito, alla vista dell’ombra di Dante. Rassicurata dal poeta latino, un’anima si rivolge a Dante per dichiarare poco dopo di essere Manfredi, figlio di Federico II: e racconta la sua storia. Con una sua preghiera si conclude il canto: lo Svevo chiede a Dante di rivelare alla figlia Costanza la sua condizione.
CANTO IV
Luogo: Antipurgatorio: II schiera: negligenti: pigri
Tutto intento ad ascoltare Manfredi, Dante non si è reso conto dello scorrere del tempo: le anime lo riportano però alla realtà indicando ai due poeti la direzione da prendere per salire. Il sentiero è stretto e scosceso, tanto da richiedere oltre all’uso dei piedi, l’ausilio delle mani. Dante segue Virgilio, camminandogli carponi dietro, fino a che entrambi, lasciatosi sotto il balzo scosceso e raggiunto un pianoro, si siedono. Dante si stupisce che il sole li colpisca da sinistra e Virgilio gliene dà spiegazione. A un tratto si ode un’apostrofe proveniente da un grande macigno ove è raccolto un gran numero di anime. Sono gli spiriti dei negligenti, cioè di coloro che hanno tardato a pentirsi fino all’ultimo istante di vita. Uno di loro, standosene seduto con le braccia avvinte alle ginocchia, colpisce l’attenzione di Dante, che finisce per riconoscere in lui il liutaio fiorentino Belacqua, noto per la sua pigrizia. Lo scambio di battute tra i due è interrotto da Virgilio che sollecita Dante a riprendere il cammino: è già il tramonto di quel primo giorno nel secondo regno.
CANTO V
Luogo: Antipurgatorio: III schiera: negligenti: morti per violenza
Dante, rimasto ad ascoltare i commenti di un’anima circa la sua ombra, è rimproverato da Virgilio. Ripreso dunque il cammino, i due poeti incontrano una terza schiera di anime che canta il Miserere: alla vista dell’ombra di Dante due spiriti chiedono di essere informati sulle ragioni della presenza in quel luogo dei due pellegrini. Virgilio, come spesso accadrà, spiega che Dante è vivo e li esorta a usargli cortesia. I due, allora, tornano indietro. Dalla schiera esce una voce che chiede a Dante se abbia riconosciuto qualcuno e subito dopo rende conto della sua condizione e di quella delle anime che con lei si trovano in quel luogo del Purgatorio. Veniamo così a sapere che lì sostano i morti violentemente e i pentiti in fin di vita. Dante confessa di non aver visto nessuno di sua conoscenza, ma si impegna comunque a esaudire le loro richieste una volta tornato nel mondo dei vivi. Comincia a questo punto il discorso di Iacopo del Cassero fatto uccidere da Azzo d’Este, cui segue quello di Buonconte di Montefeltro, morto nella battaglia di Campaldino. Il canto si chiude con le brevi, accorate parole della senese Pia dei Tolomei, fatta uccidere dal marito.
CANTO VI
Luogo: Antipurgatorio: III schiera: negligenti: morti per violenza
Il canto si apre con la similitudine tra i giocatori del gioco della zara e Dante che, nella folla dei negligenti, è attirato ora da uno spirito ora dall’altro. Dopo l’elenco delle anime che il poeta vede e riconosce (Benincasa da Laterina, Guccio dei Tarlati, Federigo Novello, Gano Scornigiani, Orso degli Alberti, Pier da la Broccia), egli manifesta a Virgilio il dubbio circa l’effettiva efficacia delle preghiere dei vivi a favore delle anime dei penitenti. Sciolto il dubbio, l’attenzione di Dante è indirizzata dallo stesso Virgilio su un’anima solitaria. Si tratta del poeta Sordello vissuto nella seconda metà del Duecento tra l’Italia e la Provenza e autore di testi in lingua d’oc. L’incontro con quest’anima dà l’occasione a Dante per una lunga digressione, che occupa tutta la seconda parte del canto, circa la situazione politica dell’Italia: ne esce tracciato un quadro fosco e cupo, in cui la penisola appare abbandonata a se stessa, priva di una guida temporale, piagata in ogni lembo di terra da conflitti tra fazioni. La tirata polemica colpisce in ultimo proprio Firenze, cui Dante si rivolge con sferzante ironia, accusando la patria di essere avida, irrispettosa delle leggi e sconsiderata.
CANTO VII
Luogo: Antipurgatorio: IV schiera: negligenti: principi
La prima parte del canto è occupata dal dialogo tra Sordello e Virgilio: il poeta latino, riconosciuto solo adesso dal poeta volgare, parla brevemente della sua condizione di anima relegata nel Limbo per poi chiedere informazioni circa il modo per raggiungere più rapidamente possibile il Purgatorio vero e proprio. Sordello allora consiglia ai due poeti di fermarsi un poco a conversare presso un gruppo di anime che si trovano in un luogo appartato, poco distante da lì, dal momento che sta sopraggiungendo la notte, le cui tenebre impediscono a chiunque di salire. Virgilio accoglie la proposta del mantovano e poco dopo si trova con Dante in una specie di valle, ornata da fiori di mille colori diversi: gli spiriti che qui dimorano cantano il Salve Regina e sono le anime dei principi e dei sovrani, anch’essi puniti per la loro negligenza. Vengono quindi additati da Sordello ai due poeti, come in una sorta di catalogo, Rodolfo imperatore d’Asburgo, Ottocaro re di Boemia, Filippo III re di Francia, Enrico I re di Navarra, Pietro III re d’Aragona, Carlo I d’Angiò re di Napoli e Sicilia, Alfonso III re d’Aragona, Arrigo III re d’Inghilterra, Guglielmo VII marchese di Monferrato. Le figure sfilano, l’una di seguito all’altra, e per ciascuna di esse, Dante non manca di fornire, pur nella massima sinteticità, informazioni circa la loro vita, i loro avi e finanche i loro successori.
CANTO VIII
Luogo: Antipurgatorio: IV schiera: negligenti: principi
Al calar del giorno, una delle anime che si trovano nella valletta dei principi chiede alle altre attenzione e silenzio: al che, intona la preghiera della compieta, il Te lucis ante terminum, richiesta di aiuto a Dio contro le tentazioni della notte. Tutte, allora, si uniscono a lei un canto soave, nell’ascolto del quale Dante si immerge profondamente. Segue un appello del poeta al lettore perché interpreti correttamente - cioè in senso allegorico e non in modo semplicistico - gli eventi che verranno descritti. Due angeli con due spade infuocate, ma prive delle punte, dalle ali e dalle vesti di color verde, scendono sulle anime: la loro chioma è bionda, ma il volto è talmente luminoso che a mala pena può essere scorto. Sordello, dopo aver spiegato che essi vengono dall’Empireo a proteggere la valle dall’imminente avvento del serpente, invita Dante a parlare con le anime che ivi dimorano. Avviene allora l’incontro tra Dante e il giudice Nino Visconti, al termine del quale lo sguardo di Dante è attratto dalla vista di tre stelle, simbolo delle tre virtù teologali. Subito dopo compare, strisciando tra l’erba e i fiori, l’annunciato serpente, tempestivamente messo in fuga dai due angeli. Sventato il pericolo, Dante si mette a parlare con una seconda anima, quella di Corrado Malaspina che prima di congedarsi profetizza al poeta il suo futuro soggiorno in Lunigiana presso la sua famiglia.
CANTO IX
Luogo: Porta del Purgatorio
L’alba del nuovo giorno sorprende Dante immerso nel sonno, mentre si trova ancora nella valletta dei principi. In sogno gli appare un’aquila dalle ali d’oro e gli sembra che essa, dopo averlo ghermito, prenda fuoco. Spaventato dalla visione il poeta si sveglia bruscamente, ma viene subito confortato dalla vista di Virgilio, il quale lo informa che sono finalmente giunti all’ingresso del Purgatorio e che è stata Lucia - simbolo della Giustizia e quindi apparsa a Dante come aquila - a portarlo dalla valletta alla soglia del secondo regno. Si legge a questo punto un secondo appello al lettore che viene avvisato, analogamente a quanto Dante ha già fatto nel canto ottavo, che la materia della sua poesia si va innalzando sempre più e che pertanto essa richiede sempre maggiore concentrazione. I due pellegrini giungono quindi alla porta del Purgatorio cui si accede salendo tre scalini di tre colori diversi (il primo di marmo bianco, il secondo di una pietra quasi nera, il terzo di porfido rosso): la porta è custodita da un angelo che impugna una spada e che, seduto sulla soglia (che a Dante sembra di diamante) poggia i piedi sul gradino più alto. Costui interroga Virgilio su chi li abbia condotti fin lì e il poeta latino risponde che loro guida è stata Lucia. All’umile richiesta di Dante di poter varcare quella soglia, il guardiano celeste inscrive prima sulla fronte del poeta sette P - tante quante i peccati di cui egli via via andrà purificandosi - per aprire poi con due chiavi la porta sacra. Al cigolare dei cardini, si sovrappone un altro rumore, simile a quello prodotto dall’esecuzione di un canto accompagnato dall’organo.
CANTO X
Luogo: I cornice: superbi
Dante e Virgilio si trovano ora nel primo girone del Purgatorio, ove si trovano le anime che espiano il peccato di superbia. Dopo aver percorso un sentiero intagliato nella roccia, i due poeti si trovano in un pianoro deserto. Dante si accorge allora che lo zoccolo della parete della montagna è ornato di bassorilievi: il primo di essi rappresenta la scena dell’Annunciazione (vi sono raffigurati l’arcangelo Gabriele e Maria), il secondo quella del trasferimento dell’Arca e della danza del salmista David, il terzo, infine, l’aneddoto dell’imperatore Traiano e della vedova che chiede giustizia per il figlio morto. Appaiono a questo punto le anime degli espiandi: a punizione della loro superbia, ciascuna di esse è gravata da pesanti massi e si percuote il petto in segno di pentimento. La descrizione di queste immagini è seguita dall’apostrofe, improvvisa e severa, che Dante lancia a tutti i superbi e che poi altro non è che una riflessione sulla vanità delle aspirazioni umane. Il canto si chiude con la precisazione che ogni anima porta un peso diverso, commisurato all’entità del suo peccato e che sul volto di chi più è schiacciato si legge la supplica e la confessione di non poter resistere ancora a lungo.
CANTO XI
Luogo: I cornice: superbi
Il canto si apre con il Pater noster recitato in coro dalla schiera dei superbi e al termine della preghiera Virgilio chiede alle anime quale sia il modo più veloce e più semplice per salire al girone superiore: una di esse, dopo aver soddisfatto la richiesta del poeta, comincia a narrare la propria storia presentandosi come Omberto Aldobrandeschi. Al tacere di costui Dante si china nel tentativo di riconoscere qualcuno e apostrofato da un’anima riconosce in essa l’amico di un tempo, il famoso miniatore Oderisi da Gubbio: costui ribadisce la pochezza e la transitorietà della fama ricordando come la sua arte sia già stata offuscata da quella di Franco, quella di Cimabue dalla pittura di Giotto e come Guinizzelli, ottenuto il primato sul Cavalcanti, stia già per esserne privato da un altro poeta. La rinomanza terrena, dice Oderisi, altro non è, se commisurata allo scorrere dei millenni, che un alito di vento ed effimera come il colore dell’erba, e non ha importanza, rispetto all’eternità, se un uomo muore vecchio oppure ancora bambino. A questo punto il miniatore indica a Dante lo spirito del senese Provenzan Salvani, famoso un tempo e di cui ora a fatica si ricorda il nome. Il poeta, che presume che nessuno preghi per quell’anima e che Provenzano si sia pentito in extremis, chiede perché egli non si trovi nell’Antipurgatorio. Oderisi gli narra allora come Provenzano, dimessi orgoglio e superbia, avesse rinunciato a tutti i suoi beni per salvare un amico: sarebbe stato dunque premiato per questo gesto. Poi Oderisi smette di parlare, annunciando in modo sibillino a Dante il suo imminente esilio.
CANTO XII
Luogo: I cornice: superbi
Dante cammina a fianco di Oderisi finché Virgilio non lo esorta ad andare avanti e ad abbassare lo sguardo a terra: il poeta si accorge allora che il pavimento della cornice del primo girone è istoriato delle immagini di esempi celebri di superbia punita, immagini che, per la perfezione della tecnica pittorica, suscitano in Dante grande ammirazione. Esse rappresentano, in sequenza, i casi di Lucifero, di Briareo, dei Giganti sterminati a Flegra, di Nembrot, Niobe, Saul, Aracne, Roboam, Erifile, Sennacherib, Ciro e Tamiri, Oloferne, e infine di Troia. Ma il tempo incalza (è già passato mezzogiorno) e Virgilio richiama l’attenzione del poeta su un angelo vestito di bianco e sfolgorante di luce. Dopo aver aperto le braccia e dispiegato le ali, l’angelo invita i due pellegrini a salire, tramite una gradinata stretta e incavata nella roccia, al secondo girone, quello degli invidiosi. Durante l’ascesa Dante avverte una sensazione di leggerezza e Virgilio, interrogato in merito, gli spiega come essa sia destinata ad aumentare dal momento che, salendo, egli si libererà via via dai sette peccati simbolicamente inscritti quali "P" sulla sua fronte: il poeta allora sente con le dita che in effetti di esse ne rimangono solo sei.
CANTO XIII
Luogo: II cornice: invidosi
Giunti alla sommità della gradinata, Dante e Virgilio si trovano nel secondo girone, ove si espia la colpa dell’invidia. Esso è di circonferenza inferiore rispetto al primo e non vi compaiono né bassorilievi né disegni. Al termine dell’invocazione di Virgilio al sole, i due poeti vedono venirsi incontro volando alcuni spiriti che, senza fermarsi, pronunciano, ciascuno, frasi diverse. Il primo allude all’episodio delle nozze di Cana, il secondo si presenta come Oreste, un terzo infine parafrasa un versetto di Matteo: sono, secondo la spiegazione di Virgilio, in quanto esempi di umiltà, moniti contro il peccato dell’invidia. Sedute lungo la parete rocciosa, Dante vede poi delle anime coperte di mantelli di panno ruvido e dello stesso colore livido della pietra, l’una appoggiata all’altra e tutte alla roccia, simili ai ciechi seduti vicino alle chiese a chiedere l’elemosina. Esse hanno inoltre le palpebre cucite con un fil di ferro. Il poeta, commosso da quella vista, si rivolge agli espiandi chiedendo se tra loro vi sia qualche italiano. Una gli risponde e comincia così il dialogo tra il poeta e la senese Sapia, zia di Provenzano Salvani e ascesa in Purgatorio grazie alle preghiere del francescano Pier Pettinaio: il canto si chiude con una profezia di quello spirito circa alcune fallimentari iniziative intraprese dalla sua città.
CANTO XIV
Luogo: II cornice: invidiosi
Siamo ancora nel girone degli invidiosi. Due spiriti (quelli di Guido del Duca e di Rinieri da Calboli) chiedono a Dante chi sia e da dove venga e il poeta, sorvolando sul suo nome, indica la sua patria alludendo alla zona in cui essa si trova (la Val d’Arno) con una perifrasi. Essa è l’occasione per una lunga tirata polemica, pronunciata da Guido, contro le città bagnate dall’Arno nella sua corsa fino al mare, quali anche Arezzo, Firenze e Pisa. A conclusione dell’invettiva lo spirito lancia strali violenti contro Fulcieri da Calboli, nipote di Rinieri. Dante allora, incuriosito, ottiene un racconto dettagliato circa la terra e la vita delle due anime: chi parla è però ancora e solo Guido, per il quale ricordare il passato della propria regione (la Romagna) è fonte di amarezza e di pianto. Al brusco congedarsi di costui da Dante, i due poeti sentono per la seconda volta voci senza volto pronunciare motti relativi a casi famosi di invidia punita (in questo caso si allude a Caino e a Aglauro); Virgilio spiega allora che quelle frasi sono gli ammonimenti divini contro l’invidia che trascina l’uomo lontano da Dio, verso beni illusori.
CANTO XV
Luogo: scala alla III cornice -
III cornice: iracondi
Sono le tre del pomeriggio, e i due poeti si trovano ancora nel secondo girone, quando Dante viene colpito da una luce abbagliante che lo costringe a schermarsi il volto con la mano per poterne sostenere la vista. Tale fulgore promana dall’angelo disceso a indicare loro il modo per poter salire al terzo girone, quello degli iracondi. Durante l’ascesa Dante espone alla sua guida un dubbio, nato in lui ascoltando le parole di Guido del Duca. Ma la risposta di Virgilio è causa nella mente di Dante di un ulteriore interrogativo: allora Virgilio, dopo una spiegazione parziale, lo esorta a purificarsi dei peccati in attesa di essere illuminato dalle parole di Beatrice. Nel frattempo essi sono arrivati nel terzo girone e subito a Dante appaiono tre visioni: quella di Gesù giovinetto al tempio, quella della clemenza di Pisistrato e quella della lapidazione di Santo Stefano. Virgilio che sa perfettamente in quali spettacoli sia immersa la mente di Dante, lo sprona a proseguire il cammino poiché si sta facendo sera. L’immagine conclusiva del canto è quella dei due poeti avvolti in una cortina di fumo nero e quindi impossibilitati a vedere alcunché.
CANTO XVI
Luogo: III cornice: iracondi
Immersi nel fumo del terzo girone, Dante e Virgilio sentono, pur senza vederle, le anime intonare l’Agnus Dei. E da Virgilio apprendiamo che esse espiano in quel luogo la colpa dell’iracondia. Una di loro, a un tratto, apostrofa Dante: si tratta di Marco Lombardo, noto uomo di corte del Duecento, integerrimo e disprezzatore delle ricchezze, cui il poeta si rivolge per un dubbio che lo tormenta: se la causa della corruzione sia da attribuire agli influssi celesti oppure all’uomo. Dall’anima viene allora esposta la teoria del libero arbitrio, cui è complementare l’enunciato secondo il quale l’anima, uscita ignara di ogni cosa dalla mani di Dio, comincia a poco a poco a rivolgere la sua attenzione ai beni materiali per passare poi, se correttamente indirizzata, a riconoscere in Dio il bene supremo. A svolgere quella funzione di guida sarebbero preposti il papa e l’imperatore; ma ciò non accade per il semplice fatto che il primo ha voluto assumere su di sé il potere temporale proprio del secondo, provocando smarrimento e perdizione. Seguono a questo punto il lamento sul degrado che affligge l’Italia settentrionale e la lode degli unici tre uomini moralmente irreprensibili. Di uno di essi Dante chiede a Marco ulteriori spiegazioni perché non ha capito chi esso sia: ma lo spirito, fraintendendo e quindi indignandosi, interrompe il dialogo e torna sui proprio passi.
CANTO XVII
Luogo: III cornice: iracondi -
scala alla IV cornice -
IV cornice: accidiosi
Il sole sta tramontando e i due poeti escono pian piano dalla cortina di fumo. Dante torna a scorgere, come all’uscita dal secondo girone, tre "visioni": per prima gli appare Progne, poi il ministro persiano Aman, e infine, Lavinia che piange la morte della madre suicida: in tutti e tre i casi si tratta di esempi di ira. Di nuovo una luce abbagliante e poi la voce dell’angelo che indica il cammino per salire al quarto girone. Di nuovo Dante sente cancellarsi una "P" dalla fronte". Nel cielo brillano già le stelle: alla domanda del poeta circa la colpa espiata in quel quarto girone, Virgilio risponde premettendo una vera e propria disquisizione dottrinaria sulla disposizione dell’anima a eleggere l’oggetto del proprio amore, cui segue una parziale descrizione dell’ordinamento del Purgatorio e quindi l’informazione che di cui Dante ha bisogno: il peccato punito nel quarto girone è l’accidia, cioè la tiepida professione d’amore verso Dio. Nel quinto, sesto e settimo cerchio, aggiunge Virgilio, saranno invece espiate le colpe che nascono dall’amore eccessivo per i beni terreni e cioè avarizia, gola e lussuria. Ma, conclude il poeta latino, tutto ciò Dante dovrà apprenderlo con l’ausilio delle proprie risorse.
CANTO XVIII
Luogo: IV cornice: accidiosi
Al termine del suo discorso Virgilio guarda Dante per vedere se ha ben compreso e si accorge, sebbene il poeta abbia timore a confessarlo, che costui è tormentato da un dubbio. Esso riguarda la natura dell’amore e provoca una risposta solo un poco meno dottrinale rispetto a quella del canto precedente. La luna offusca con il suo splendore le stelle, e Dante, pago della spiegazione del maestro, è colto nelle membra da un senso di torpore. Ma ne vien subito scosso dal sopraggiungere in corsa impetuosa delle anime degli accidiosi che gridano esempi di sollecitudine: la visita di Maria a Elisabetta e il passaggio di Cesare in Spagna, durante la guerra civile. L’anima di un abate di San Zeno in Verona, vissuto ai tempi del Barbarossa e della distruzione di Milano, indica a Virgilio il varco per salire al girone successivo: costui corre via velocemente, ma Dante si compiace di riportare, tra le parole da esso pronunciate, quelle particolarmente offensive sul figlio di un certo Alberto della Scala. Virgilio a questo punto richiama l’attenzione di Dante su due anime che, a monito delle altre, ricordano due esempi di accidia puniti: quello degli Ebrei che per fiacchezza non raggiunsero la Terra Promessa e quello dei compagni di Enea che, spaventati dal viaggio, preferirono restare in Sicilia. Allontanatesi quelle ombre, Dante si addormenta.

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