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Cari lettori,

di ogni canto troverete la versione in volgare e, sotto di essa, la parafrasi. Prima dei canti veri e propri, troverete la vita di Dante, la struttura di Inferno, Purgatorio e Paradiso (ciascuna con la bacheca dei personaggi sotto) e i riassunti dei canti.

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FONTI:

Introduzione

La "Divina Commedia" è il capolavoro di Dante Alighieri. Essa è un poema diviso in tre cantiche, Inferno, Purgatorio e Paradiso, a loro volta divisi in 33 canti ciascuno, ad eccezione dell'Inferno, che presenta un canto in più di introduzione. Quindi sono 100 canti in tutto.
L'Inferno dantesco ha una struttura a cono rovesciato, è una gigantesca voragine di forma conica, che si apre nell'emisfero boreale sotto gerusalemme e giunge fino al centro della Terra; esso ebbe origine quando Lucifero si ribellò all'autorità divina e fu così punito da Dio con i suoi seguaci: essi furono scagliati sulla terra che, inorridita per l'empietà, si ritirò dando origine al baratro infernale. Quest'ultimo è preceduto da un ampio vestibolo, cioè l'Antinferno, dove sono puniti gli ignavi, che in vita rifiutarono di seguire per paura e per viltà sia il bene sia il male, e gli angeli che, nello scontro con Dio, rimasero neutrali; tutti questi sono così spregevoli che sono rifiutati sia nell'Inferno sia nel Paradiso. L'Inferno è diviso in nove cerchi concentrici, alcuni dei quali sono a loro volta suddivisi in fasce secondarie: il settimo cerchio è diviso in tre gironi, l'ottavo cerchio è diviso in dieci bolgie, e il nono e ultimo cerchio è diviso in quattro zone. Nell'Inferno vengono punite tutte le anime che hanno sempre peccato in vita e non hanno alcuna speranza di salvezza. Nell'ultima zona del nono cerchio, la Giudecca, si trova Lucifero, insieme a Giuda, Bruto, Cassio e tutti i traditori dei benfattori.
Il Purgatorio è una montagna immaginaria che si trova su un'isola in mezzo all'oceano. La sua forma a tronco di cono riflette la forma cava dell'Inferno, ossia quella porzione di terra che si ritrasse per evitare il contatto con Lucifero, precipitato dal cielo. Ai piedi dell'enorme montagna si trova una breve spiaggia, dove approda la piccola nave di penitenti guidata dall'Angelo nocchiero. Da lì inizia la salita di purificazione al monte. Il Purgatorio è diviso in tre parti: l'Antipurgatorio, a sua volta diviso in quattro schiere, dove risiedono i negligenti, ossia coloro che si pentirono all'ultimo momento dei loro peccati; il Purgatorio vero e proprio, diviso in dieci cornici, dove risiedono coloro che, prima di salire in Paradiso, debbono scontare la loro pena, percorrendo tutte le cornici; il Paradiso Terrestre. Il custode del Purgatorio è Catone.
Il Paradiso è diviso in nove cieli (ciascuno dei quali si trova sempre più vicino a Dio), dove risiedono le anime beate, tra cui Beatrice. I primi sette cieli prendono i loro nomi dal pianeta che ha la sua orbita apparente intorno alla Terra. L'ottavo cielo è detto delle "Stelle Fisse" poichè vi orbitano tutti gli altri astri in posizioni reciproche sempre uguali fra di loro. Il nono cielo è detto "Primo Mobile o Cristallino" perchè imprime il movimento agli altri otto cieli precedenti. Infine vi è l'Empireo, cielo eterno e infinito, in cui ha sede Dio nella sua vera e propria essenza.

lunedì 16 marzo 2009

Riassunti: Paradiso: Canti da XIX a XXXIII

CANTO XIX
Luogo: VI cielo: Giove: spiriti giusti
L’aquila apre le ali e comincia a parlare in prima persona, esprimendo il pensiero dei beati che la compongono. Dante prega quindi gli spiriti di sciogliere un suo vecchio dubbio, ossia se coloro che non furono in grado di conoscere la fede cristiana devono necessariamente essere esclusi dalla grazia di Dio. L’aquila risponde dicendo che l’intelligenza degli uomini non può arrivare a comprendere l’imperscrutabile giustizia divina e deve attenersi alla Sacra Scrittura: la volontà di Dio deve essere creduta buona in se stessa e tutto ciò che è voluto dall’Essere supremo necessariamente giusto. Gli spiriti spiegano quindi a Dante che in Paradiso non è mai salito chi non credette in Cristo: quando le schiere dei buoni e dei malvagi si separeranno alcuni - apparentemente cristiani - potranno essere condannati dagli stessi infedeli, che potranno vituperare l’operato dei re cristiani vedendo le loro nefandezze scritte nel libro di Dio. Concludendo le proprie parole l’aquila augura al regno di Ungheria di non lasciarsi più maltrattare dai suoi re e al regno di Navarra di difendersi dalla potenza francese.
CANTO XX
Luogo: VI cielo: Giove: spiriti giusti
Nell’occhio dell’aquila si trovano gli spiriti più eccellenti che formano la sua figura: per primo, al posto della pupilla, viene indicato Davide; quindi vengono nominati, a partire dal luogo più prossimo al becco, Traiano, Ezechia, Costantino, Guglielmo II il Buono re di Sicilia e Rifeo. Dante non comprende come le anime di due pagani, Traiano e Rifeo, si trovino in Paradiso, e l’aquila risponde spiegando che il regno di Dio cede all’amore e alla speranza degli uomini non perché la volontà divina possa essere vinta con la forza, ma solo perché essa vuole essere vinta, per sua somma bontà. Sia Traiano che Rifeo uscirono dal corpo credendo, il primo, in Cristo venuto, l’altro in Cristo venturo: Rifeo fu battezzato nella vera fede mediante le tre Virtù teologali ben mille anni prima che il sacramento del Battesimo venisse istituito. La predestinazione resterà un mistero per gli uomini, che devono essere cauti nel giudicare il destino ultraterreno delle anime perché nessuno può leggere la volontà di Dio.
CANTO XXI
Luogo: VII cielo: Saturno: spiriti contemplativi
Beatrice spiega al poeta che essi sono ormai giunti nel cielo di Saturno dove si trovano gli spiriti contemplanti, e lo esorta a guardare una scala d’oro che si eleva così in alto da non poter essere vista completamente. Tantissimi splendori scendono e salgono lungo la scala e uno di essi comincia a parlare. Si tratta di San Pier Damiano che risponde a una domanda postagli dal poeta, affermando che in questo cielo nessuno canta per la stessa ragione per cui Beatrice, all’inizio, non ha sorriso: Dante non sopporterebbe l’ineffabilità del canto e resterebbe annichilito. Inoltre lo spirito aggiunge di essersi presentato al poeta non perché in lui sia maggiore l’ardore della carità, ma perché Dio, inspiegabilmente, ha assegnato a lui tale ufficio. Continuando a parlare del tema della predestinazione Pier Damiano afferma che nessun beato, neppure uno dei Serafini, potrebbe rispondere alla domanda del poeta intorno a questo problema, celato nell’abisso dell’intelligenza divina. Il beato dichiara a Dante la propria identità e afferma di essere vissuto nell’eremo situato sotto il monte Catria: in quel chiostro egli ebbe il nome di Pier Damiano, mentre, per l’umiltà, ebbe nome di Pietro Peccatore nel monastero di Santa Maria vicino a Ravenna. Le sue ultime parole riguardano l’infinita pazienza del Creatore che sopporta la corruzione del clero: altri spiriti, roteando lungo la scala, lo circondano ed elevano simultaneamente un grido altissimo.
CANTO XXII
Luogo: VII cielo: Saturno: spiriti contemplativi -
VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Beatrice spiega a Dante che se egli avesse potuto comprendere le parole appena gridate dai beati già conoscerebbe la vendetta divina, che si offrirà tuttavia al suo sguardo prima della sua morte. Il pellegrino scorge piccoli globi luminosi e si rivolge a uno di essi, che dichiara di essere lo spirito di San Benedetto. Insieme a lui si trovano altri spiriti di contemplanti accesi - in vita - da ardore di carità: fra essi si trovano San Macario e San Romualdo e quei frati dell’ordine che si mantennero fedeli alla regola. Il poeta prega San Benedetto di farsi palese nella sua vera sembianza, ma questi risponde che tale desiderio sarà esaudito solo nell’Empireo. Il Santo spiega inoltre che la scala d’oro vista da Dante, la stessa che apparve in sogno a Giacobbe, non attira oramai più nessuno: la regola benedettina è rimasta solo per sprecare la carta di cui ci si serve per trascriverla. Dopo queste parole tutti gli spiriti si levano verso l’alto; Beatrice spinge il poeta su per la scala e il loro volo è così rapido che nessun moto terreno può essergli paragonato. Dante si rivolge per l’ultima volta al lettore, augurandosi di poter tornare in Paradiso a vedere il trionfo dei beati, così come è vero che in un attimo egli si trovò congiunto alla costellazione dei Gemelli. La guida esorta il viator a volgere lo sguardo verso il basso per esaminare il cammino percorso: e Dante vede i sette cieli già attraversati e la Terra, la piccola "aiuola che ci fa tanto feroci".
CANTO XXIII
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Beatrice è rivolta verso il meridiano dove il sole si trova a mezzogiorno, dove il cielo si fa sempre più chiaro per l’apparire delle schiere luminosissime che accompagnano il trionfo di Cristo. Il poeta può vedere un Sole che illumina migliaia di splendori e attraverso cui traspare la figura di Cristo. Primo rapimento estatico di Dante: la sua mente, immensamente dilatata in mezzo alle meraviglie del cielo, non potrà ricordare quello che avvenne in quel momento. La guida esorta il pellegrino a riaprire gli occhi: Dante, distogliendo lo sguardo da lei, dovrà rivolgerlo al coro dei beati dove si trovano Maria e gli Apostoli. Come in terra egli già ha visto, protetto un poco dalle nubi, un prato fiorito illuminato dal sole, così può vedere le schiere dei beati irradiate dallo splendore di Cristo che tuttavia non può essere contemplato dai suoi occhi perché Egli si è innalzato nuovamente verso l’Empireo. Ora il poeta osa volgere lo sguardo verso la Vergine e - sotto forma di corona splendente - vede scendere l’Arcangelo Gabriele. Accompagnata da questo Angelo anche Maria risale all’Empireo, ma il poeta non può seguirne l’ascensione perché il Primo Mobile è ancora troppo lontano. I beati intonano l’antifona Regina coeli.
CANTO XXIV
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Beatrice prega i beati di far cadere nella mente di Dante qualche goccia di quell’acqua che eternamente li disseta. Fiammeggiante di luce, dalla corona più luminosa, esce lo spirito di San Pietro, che esamina Dante sui punti della Fede, poiché è bene che il pellegrino parli di questa virtù teologale proprio per glorificarla. Alla fine, approvate le sue risposte, San Pietro domanda che cosa Dante creda e per quale causa lo creda; il pellegrino risponde di credere in un solo Dio eterno che muove, immobile, tutto l’universo e che di ciò possiede non solo prove fisiche e metafisiche, ma soprattutto quelle offerte dai due Testamenti. Dante crede inoltre nelle Tre Persone della Trinità e di questo lo certificano più luoghi del Vangelo: la Fede è il principio da cui derivano tutti gli articoli della stessa Fede. San Pietro benedice il poeta.
CANTO XXV
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Dalla medesima corona da cui era uscito San Pietro esce ora lo spirito di Sant’Jacopo, e Beatrice lo prega affinché esamini Dante intorno alla seconda virtù teologale. Il santo domanda dunque al pellegrino che cosa sia la Speranza, in quale misura la possegga e da chi gli sia venuta. La guida stessa risponde alla seconda domanda dicendo che mai la Chiesa militante ha posseduto fedele nutrito di maggiore speranza del poeta stesso, così che Dio gli ha concesso la grazia di salire al Paradiso prima della morte. Dante risponde poi alla prima domanda affermando che la Speranza è l’attesa sicura della gloria futura prodotta dalla grazia di Dio e dalle buone opere; alla terza domanda risponde che la speranza deriva in lui da molti scrittori ispirati, ma soprattutto da Davide compositore dei Salmi e da Sant’Jacopo stesso. Che cosa promette, dunque, al poeta, la Speranza? Dante risponde che la Speranza, attraverso le parole di Isaia e di San Giovanni, promette all’uomo la beatitudine del corpo e dello spirito. I beati approvano la risposta del poeta intonando il canto Sperent in te. Un altro splendore si avvicina ai due Apostoli: si tratta di San Giovanni. Dante rimane abbagliato dalla sua luce.
CANTO XXVI
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti
Mentre Dante crede di aver perduto la vista il Santo gli chiede quali ragioni lo abbiano spinto ad amare Dio: il poeta risponde che tale amore è nato in lui per gli argomenti filosofici e per l’autorità della Sacra Scrittura. Ma quali altre ragioni spingono Dante ad amare Dio? Dante risponde che le ragioni che lo hanno indotto a corroborare il suo sentimento di carità sono soprattutto la creazione di lui medesimo, la morte redentrice di Cristo e la speranza della salvezza. I beati e Beatrice intonano un canto o di lode e la guida può togliere ogni impedimento agli occhi di Dante, che ora vede meglio di prima e può scorgere un quarto splendore. Si tratta dell’anima di Adamo, e Dante la prega di appagare il suo desiderio di conoscenza. Adamo dice quindi: di essere stato allontanato dal Paradiso terrestre per aver trasgredito il comandamento di Dio; di essere rimasto nel Limbo 4302 anni e 930 anni sulla terra; che la lingua da lui parlata "fu tutta spenta" prima che Nembrot tentasse l’impresa della torre di Babele (la lingua, come tutti i prodotti umani, è mutevole e prima che egli scendesse nel Limbo Dio era chiamato I, ma poi fu chiamato EL); e infine, che la sua dimora nel Paradiso terrestre, prima da innocente, poi da colpevole, si protrasse per sette ore.
CANTO XXVII
Luogo: VIII cielo: Stelle Fisse: spiriti trionfanti -
IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici
I beati intonano l’inno Gloria al Padre, al Figlio e allo Spirito Santo e Dante ne rimane estasiato. San Pietro cambia colore per lo sdegno che lo agita e prorompe in una feroce invettiva condannando il Pontefice che usurpa sulla terra il posto di Vicario di Cristo. I papi sono corrotti, ma non sono gli unici: dal Cielo si vedono ovunque, sulla terra, lupi rapaci travestiti da pastori. La Provvidenza divina verrà però presto in soccorso della Chiesa. Dopo quest’ultima dichiarazione tutti i beati si levano verso l’Empireo e Beatrice invita Dante a volgere gli occhi in basso. Il poeta si rende conto che dal momento in cui ha guardato la terra per la prima volta sono trascorse sei ore: da una parte vede l’Oceano Atlantico, dall’altra la Fenicia e vedrebbe una parte maggiore della terra se il sole non si muovesse sotto di lui a più di trenta gradi verso occidente. La virtù che lo sguardo luminoso di Beatrice concede a Dante lo solleva in un attimo fino al Primo Mobile; solo il cielo Empireo lo circonda, così come il Primo Mobile circonda gli altri cieli. Beatrice, a questo punto, deplora la cupidigia che impedisce all’uomo di alzare gli occhi al Cielo: l’innocenza si trova solo nei fanciulli, ma anch’essi si corrompono appena giungono all’età matura e questo non deve sorprendere perché in terra non vi è più chi provveda rettamente ai poteri temporale e spirituale, ma presto l’umanità cambierà il proprio corso e al buon volere seguiranno le buone opere.
CANTO XXVIII
Luogo: IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici
Dante scorge negli occhi di Beatrice un punto luminoso e - rivolgendosi verso il cielo - vede lo stesso punto infuso di una luce così abbagliante che lo costringe a distogliere lo sguardo. Vicinissimo al punto, gira rapidissimo un cerchio infuocato. Questo cerchio è circondato da tutti gli altri, i quali appaiono sempre più ampi e meno veloci mano a mano che si allontanano dal centro. La guida spiega al poeta che quel punto è Dio e che il cerchio che gli si muove più vicino è anche il più veloce poiché è mosso da un amore più ardente. Il Primo Mobile che trascina nel suo moto tutto l’universo corrisponde al cerchio che ha più amore e sapienza: e se il poeta considererà la virtù - e non la grandezza delle sfere celesti e dei cerchi angelici - noterà la corrispondenza che esiste fra il cielo maggiore e la maggiore Intelligenza motrice e tra il cielo minore e la minore Intelligenza motrice; Dante è preso, però, da altri dubbi e la sua guida spiega l’ordine dei cori che sono distribuiti in tre gerarchie: i nove cori angelici sono rivolti verso il punto che è Dio ed esercitano, dai superiori verso gli inferiori, un’azione benefica.
CANTO XXIX
Luogo: IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici
Beatrice comincia a spiegare a Dante la creazione degli Angeli, creati da Dio nella sua eternità, ossia fuori del tempo, e nell’Empireo, ossia fuori dello spazio. Con un solo atto Dio creò la pura forma degli Angeli, la materia pura e la forma congiunta alla materia dei corpi celesti. Beatrice ricorda al poeta il pensiero di San Girolamo secondo il quale la creazione degli Angeli sarebbe avvenuta molti secoli prima della creazione del mondo: questo pensiero è erroneo e contrasta non solo con la Sacra Scrittura ma anche con la ragione umana, che non potrebbe ammettere che gli Angeli siano rimasti tanto tempo senza esercitare il loro ufficio. Beatrice continua poi dicendo che una parte degli Angeli, ribelle al Creatore, precipitò sulla terra, mentre l’altra rimase nell’Empireo. Segue un’invettiva contro i cattivi filosofi che alterano la Sacra Scrittura senza pensare quanto siano cari a Dio coloro che invece le si accostano umilmente. Beatrice dichiara poi che il numero degli Angeli è infinito: la luce di Dio è accolta in diversi modi, tanti quanti sono gli Angeli a cui si unisce, così che l’amore di ogni creatura celeste - proporzionato alla visione - è più o meno intenso.
CANTO XXX
Luogo: IX cielo: Primo Mobile o Cristallino: cori angelici -
Empireo: Candida Rosa
A poco a poco i nove cori angelici che si volgono intorno al punto divino scompaiono e Dante si volge a Beatrice. La guida annuncia che sono giunti nell’Empireo, cielo di pura luce intellettuale fonte di un amore che è esso stesso fonte di una beatitudine assoluta; qui il poeta vedrà gli Angeli e i Beati nel medesimo aspetto che essi assumeranno nel giorno del Giudizio. Una luce risplende intorno a Dante, che dopo un momento di cecità si accorge che la sua facoltà visiva si è accresciuta e può così vedere una fiumana di luce che scorre tra due rive dipinte di fiori, dalla quale si alzano faville che si posano sui fiori per poi ritornare nel gorgo di luce. Il fiume, le faville, i fiori sono solo immagini che adombrano la realtà, perché Dante non ha una vista così potente da poterla sostenere. Dante fissa gli occhi nella fiumana luminosa e questa, prima distesa nella sua lunghezza, gli appare in forma circolare, mentre i fiori e le faville si tramutano in Beati e Angeli, offrendo l’immagine di una rosa che si dilata man mano che si procede dal basso verso l’alto. Dante non si smarrisce più nell’intensità della luce e comprende che nella Rosa è raccolta tutta l’immensità della beatitudine celeste. Beatrice conduce il poeta al centro della Rosa e gli mostra i pochi seggi non ancora occupati, compreso quello dove siederà, prima della morte di Dante, l’Imperatore Arrigo VII.
CANTO XXXI
Luogo: Empireo: Candida Rosa
Dopo che i beati si sono mostrati a Dante in forma di candida rosa il poeta scorge gli Angeli che, cantando la gloria di Dio, appaiono come uno sciame di api in volo: essi hanno il viso color di fiamma, le ali dorate e il resto della figura più bianco della neve. Tutto il regno felice si volge al Creatore e Dante pronuncia una invocazione alla Trinità perché possa volgersi alla terra. Come il pellegrino giunto nel tempio prescelto si fissa a contemplare le sue bellezze e spera di descrivere, al ritorno, quello che ha visto, così Dante ammira la Rosa luminosa e vede visi atteggiati a carità, ricolmi di luce. Il poeta si volge a Beatrice per interrogarla ma al suo posto vede un vecchio vestito di bianco: costui risponde che Beatrice è risalita al proprio scranno. La nuova guida invita Dante a guardare la candida rosa e dopo aver assicurato al poeta che la Vergine farà loro ogni grazia si rivela come San Bernardo. Il santo invita il pellegrino a rivolgere gli occhi a Maria ed egli può scorgere verso la sommità della Rosa una parte più splendente: lì - nel mezzo - circondata da migliaia di Angeli essi contemplano la Madre di Cristo.
CANTO XXXII
Luogo: Empireo: Candida Rosa
A questo punto Bernardo indica a Dante - ai piedi della Vergine - Eva e, sotto questa, nel terzo ordine dei seggi, Rachele e Beatrice. Sotto di loro, di gradino in gradino, siedono Sara, Rebecca, Giuditta e Ruth. Infine, dal settimo gradino, verso il basso, altre donne ebree che - separando le foglie della rosa - dividono i beati dell’Antico Testamento da quelli del Nuovo. A sinistra si trovano coloro che credettero in Cristo venturo mentre a destra - dove ancora si vedono alcuni seggi vuoti - siedono coloro che credettero in Cristo venuto. E come da questa parte il seggio della Madonna e delle donne ebree forma una linea di separazione così, dalla parte opposta, la formano i seggi di San Giovanni Battista, di San Francesco, di San Benedetto, di Sant’Agostino e di altri. Dal mezzo della rosa verso il basso si vedono le anime dei bambini che si salvarono non per propri meriti, ma grazie ai loro genitori e con certe condizioni, poiché morirono prima di raggiungere l’uso della ragione. Bernardo invita Dante a guardare la Vergine e il poeta vede innanzi a lei, con le ali spiegate, l’Arcangelo Gabriele che canta Ave Maria, gratia plena. A sinistra di Maria è visibile Adamo, e alla destra San Pietro: accanto a lui San Giovanni Evangelista e accanto ad Adamo, Mosé. In ultimo, davanti a San Pietro si trova Sant’Anna e di fronte ad Adamo, Santa Lucia. Adesso Bernardo pregherà Maria perché interceda in favore del poeta che, dal canto suo, dovrà accompagnare la preghiera con tutto l’ardore del proprio cuore.
CANTO XXXIII
Luogo: Empireo: Candida Rosa
Preghiera di San Bernardo. Gli occhi di Maria si fissano sul santo, dimostrando che la sua preghiera è stata accolta, poi si innalzano a Dio per ottenere la grazia. Dante porta l’ardore del proprio desiderio al più alto grado di intensità e, mentre Bernardo lo invita, egli - che già ha rivolto gli occhi al Creatore - penetra attraverso la luce divina. Il poeta dichiara che da questo momento la sua visione non potrà essere descritta e prega Dio di aiutare la sua memoria e la sua parola, in modo da consentire anche agli altri uomini di poter percepire almeno una pallida immagine di quanto poté contemplare. Dante descrive poi il proprio ardimento, che lo spinse a fissare e congiungere la propria vista con Dio, così da poter scorgere, nella profondità della luce divina, legate in un vincolo d’amore, tutte le cose che si trovano "squadernate" nell’Universo. L’istante della visione fu per il poeta causa di un oblio profondissimo; Dante rilascia un’ultima dichiarazione di ineffabilità quindi dice di aver visto mutare il lume divino, progressivamente, di fronte alla sua vista. In tal modo egli poté contemplare all’interno del lume tre cerchi di tre diversi colori, di uguale grandezza, dei quali il secondo sembrava riflesso dal primo, mentre il terzo appariva come un fuoco spirante in uguale misura dagli altri due. Il secondo dei tre cerchi si mostrò poi al poeta dipinto dell’effigie umana: paragonandosi al geometra che cerca di misurare il cerchio e non ritrova, pensando, quel principio di cui avrebbe bisogno, così Dante descrive il proprio tentativo di comprendere come la natura umana e la divina potessero essere una sola cosa nel Figlio, che a sua volta è una sola cosa in Dio. "A l’alta fantasia qui mancò possa; / ma già volgeva il mio disio e il velle, / sì come rota ch’igualmente è mossa, / l’amor che move il sole e l’altre stelle".

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